LA MEMORIA: UN TESTIMONE NON ATTENDIBILE?
di Martino Feyles
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Se nel primo paradigma teorico l’aspetto centrale che viene sottolineato è quello della passività della memoria, nel secondo, invece, l’accento è tutto sull’attività del soggetto. La memoria non viene più pensata come una copia infiacchita dell’evento percepito, come la traccia materiale lasciata dall’esperienza percettiva. Al contrario il ricordo è visto come un’operazione costruttiva del soggetto che ricrea e quasi reinventa nel presente il passato. La grande affermazione di questo punto di vista nel pensiero contemporaneo è legata alla nascita di nuove discipline scientifiche come la psicoanalisi, la sociologia, la psicologia sociale, che tendono a considerare il soggetto, e quindi anche tutte le sue funzioni, non come un dato, ma come l’esito di una “costruzione” e di una “interpretazione”. In realtà già in Platone si può trovare un’immagine – alternativa a quella della tavoletta di cera – che sottolinea l’importanza dell’attività del soggetto nel ricordo: è l’immagine della memoria come una grande voliera all’interno della quale i ricordi, sfuggenti come volatili, pur essendo in nostro possesso, devono ogni volta essere nuovamente catturati [6] . Ma nel pensiero contemporaneo la constatazione della necessità di un lavoro attivo di ricerca dei ricordi, viene sostituita da una concezione molto più radicale. All’inizio del Novecento, la psicoanalisi freudiana mostra fino a che punto la memoria sia il risultato di un lavoro di selezione, rimozione e interpretazione del proprio passato. A distanza di pochi anni, nei suoi studi di psicologia sociale, Bartlett demolisce il mito del cosiddetto “ricordo letterale” e sostiene che il ricordo sia una costruzione del soggetto per molti versi simile all’immaginazione [7] .
Partendo da un approccio moto diverso, nel 1950 M. Halbwachs pubblica, La mémoire collective, il testo che dà inizio agli studi sociologici sulla memoria, in cui sostiene in modo appassionato che la memoria è una costruzione sociale e non la riproduzione fedele di una percezione passata [8] . Forse però l’autore che ha sostenuto l’idea della memoria come ricostruzione creativa in modo più consapevole e più radicale è M. Proust. La monumentale impresa della Recerche è fondata sulla convinzione esplicita che ritrovare il tempo perduto significhi reinventarlo. Per questo il lavoro dell’artista e quello del romanziere sono essenzialmente simili. Certo il passato lascia una traccia nella coscienza. Ma è la fantasia che a partire dalla traccia ridisegna i contorni di ciò che è stato. Questa opera di ricreazione è ogni volta diversa e per questa ragione il passato non è mai lo stesso. Noi lo comprendiamo sempre in modo diverso e di conseguenza ce lo rappresentiamo sempre in modo diverso. Così l’interrogativo epistemologico da cui abbiamo preso le mosse – come possiamo essere certi della realtà del passato? – in Proust diviene irrilevante, viene svuotato dall’interno, perché il passato non ha una sua identità stabile e oggettiva che bisognerebbe cercare di riprodurre fedelmente. Il ricordo non deve sforzarsi di essere adeguato alla verità di ciò che è stato, perché questa verità non esiste prima del ricordo stesso. È l’atto memorativo che la stabilisce e la produce [9] . Ma se le cose stanno che differenza c’è tra ricordare e immaginare? E che valore ha una testimonianza?


3. Ricordo e fantasia dal punto di vista fenomenologico

Dal punto di vista fenomenologico è necessario innanzitutto distinguere due fenomeni molto diversi, che Husserl chiama “ritenzione” (Retention) e “rimemorazione” (Wiedererinnerung) [10] . La ritenzione è la memoria che rende possibile la percezione di un dato presente, la rimemorazione invece è la riproduzione di un evento del passato e in questo senso è più vicina all’accezione comune della parola ricordo [11] .
Per comprendere il senso di questa distinzione prediamo in considerazione un esempio. Immaginiamo di osservare il moto di una pallina da tennis lanciata per aria. Si tratta di un caso molto elementare di percezione del movimento. Se analizziamo fenomenologicamemte questa percezione, se cioè proviamo a descrivere ciò accade nella coscienza durante questa semplice esperienza percettiva, ci accorgiamo che, affinché la coscienza possa percepire il moto della pallina, è necessaria un sintesi temporale. La pallina si muove lungo una parabola complessa (da A a D), occupando successivamente diverse posizioni: prima è in A, poi in B, poi in C, infine in D. In ogni istante ciò che è dato effettivamente alla coscienza è solo un frammento del movimento. Nel tempo T1 la pallina è (immobile) in A, nel tempo T2 la pallina è (immobile) in B, ecc. Noi però vediamo un fenomeno unitario, che non è riducibile alla somma dei “fotogrammi” che lo compongono: noi vediamo la pallina in movimento. Questo significa che le diverse fasi di questo movimento sono abbracciate in unico di sguardo dalla coscienza. La coscienza vive nel presente, ma il presente non è costituito di un istante “ora” puntuale e infinitesimale. L’ora attuale è sempre circondato da un alone di passato. Nel momento T4, quando la pallina è in D, la coscienza ha ancora presente tutti i momenti percettivi precedenti e li tiene insieme in una sintesi. Questa capacità della coscienza di avere ancora presente il passato recente è ciò che Husserl chiama ritenzione. È chiaro che si tratta di una forma di memoria.
Ma è altrettanto chiaro che si tratta di una forma di memoria molto lontana da ciò che nel linguaggio comune chiamiamo ricordo [12] .
Infatti mentre osserviamo la parabola della pallina da tennis non stiamo ricordando, stiamo percependo!
In realtà l’analisi fenomenologica dell’esperienza mostra in maniera incontrovertibile che ogni atto percettivo (si tratti di vedere, di udire o di toccare) è sempre un processo temporale che ha una certa durata e che richiede una sintesi del presente attuale, dell’appena passato e del futuro imminente. Affinché questa sintesi sia possibile è necessario postulare l’esistenza di una peculiare forma di memoria percettiva, la ritenzione appunto. Husserl la concepisce come un processo di progressivo e graduale venir meno dell’essere cosciente. Tutti ciò che viene vissuto viene anche ritenuto. Il che significa che ciò che accade nella coscienza non trapassa immediatamente nel nulla, una volta passato, ma viene conservato nella ritenzione, rimane ancora accessibile allo “sguardo” della coscienza, per poi svanire gradualmente. Diremmo perciò che nel momento T4 è effettivamente data solo l’impressione sensibile della pallina immobile in D. Nello stesso tempo però, le impressioni della pallina in A, in B e in C sono “ritenute” dalla coscienza e dunque sono ancora presenti, sia pure in un modo diverso da come è presente l’immagine della pallina in D.
A questo punto immaginiamo di trovarci il giorno successivo sullo stesso campo da tennis di cui sopra e di voler ritrovare la pallina perduta il giorno precedente. Per avere un’idea di dove sia finita tentiamo di ricordare ciò che è successo. Il ricordo ci si presenta nella forma di un’immagine del passato. Nel ricordo ci sembra quasi di poter rivedere il moto della pallina, la sua parabola per aria, il suo colore ecc. Anche in questo caso siamo di fronte ad un’esperienza di memoria, ma si tratta di un’esperienza molto diversa da quella descritta in precedenza. In questo caso non stiamo percependo, non stiamo vedendo una pallina realmente presente che si muove per aria, ma stiamo riproducendo una percezione precedente. Questa esperienza di memo
Perché questa distinzione – cui io ho solo sommariamente accennato – è così importante dal punto di vista epistemologico? Perché per Husserl, mentre la ritenzione è una sorta di prolungamento della coscienza percettiva presente, è una sorta di “estensione” della percezione all’appena passato [13] , al contrario la rimemorazione dal punto di vista fenomenologico appare come una forma di fantasia [14] . Se noi descriviamo attentamente l’esperienza vissuta nel secondo caso (quando il giorno successivo cerchiamo di rivedere il movimento della pallina, per capire dove è andata a finire) ci accorgiamo che si tratta di un’esperienza che dal punto di vista intuitivo non è in nessun modo differente rispetto all’esperienza del mero fantasticare. Nella rimemorazione un evento non presente appare alla coscienza, esattamente come nella fantasia. In entrambi i casi abbiamo un rappresentazione presente (Husserl la chiama “presentificazione” [Vergegenwärtigung]) di un oggetto assente.
A questo punto sorge un obbiezione ragionevole: d’accordo, fantasia e rimemorazione sono entrambe rappresentazioni di un oggetto assente. Ma la fantasia si riferisce ad un oggetto che non è mai stato, il ricordo ad un oggetto che non è più: c’è una bella differenza tra ricordare la pallina da tennis e immaginarla! In effetti c’è una differenza. Ma – questo è il punto essenziale – non è una differenza di contenuti intuitivi. Il che significa, tradotto in altre parole, che la differenza non è nella “qualità dell’immagine”. Dal punto di vista della pregnanza intuitiva, un’immagine di fantasia e un immagine rimemorata non sono in nessun modo distinguibili. Tra l’immagine della pallina da tennis che mi riappare in una rimemorazione e l’immagine – partorita dalla mia fantasia – di un’analoga pallina viola fosforescente, che volteggia per aria seguendo traiettorie improbabili, non c’è nessuna differenza di vivezza intuitiva. In linea di principio l’immagine rimemorata, anche quando il ricordo è accurato, veritiero e affidabile, non è più vivida, né più definita, né più dettagliata di un’analoga immagine di fantasia.
Mettendo a confronto i vissuti ci si accorge che ci sono ricordi assolutamente certi che appaiono in immagini nebulose e confuse e, viceversa, che ci sono fantasie (si pensi alle fantasie erotiche) che appaiono in immagini piuttosto coerenti e dettagliate. La differenza tra fantasia e rimemorazione non si può dunque trovare a livello dei contenuti. In entrambi i casi si tratta i rappresentazioni in immagine tendenzialmente schematiche che, con Husserl, possiamo chiamare presentificazioni [15] .

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