IL “PROBLEMA MULTICULTURALE”
TRA SOCIOLOGIA, FILOSOFIA E DIRITTO:
UN APPROCCIO COGNITIVO
di Giovanni Bombelli*
Università Cattolica “S. Cuore” – Milano

Più precisamente, “il concetto di interculturalità ha una storia abbastanza recente, anche se naturalmente esso deve essere considerato in tutte le sue molteplici relazioni/differenze con altri termini e concetti come multiculturalismo, transculturalità, studi culturali, ecc.[…]Si può dire che quanto più si complica la dinamica dei sistemi culturali nei processi di comparazione e relazione delle diversità spaziali e temporali, tanto più diventa plausibile una nozione di interculturalità che sposta il problema della relazione dal nesso esterno tra le culture (intese come fenomeni sostanzialmente unitari e individualmente identificabili e dunque come identità separate) a quello interno ad una stessa fenomenologia culturale (nel senso della contaminazione, dell’ibridismo, del meticciato). L’interculturalità, allora, non tocca soltanto le questioni dell’integrazione tra culture differenti, ma anche e principalmente i problemi che caratterizzano oggi tutte le società complesse[…]. Il problema dell’intercultura lità, dunque, diventa oggi essenzialmente elaborazione di strumenti logici e linguistici per la conoscibilità, narrazione e comprensione delle identità.” Ibidem, pp. 236-237 (corsivi nel testo: ivi si veda anche la nota 1 per ulteriori riferimenti bibliografici).
Così pure (anche in termini distintivi rispetto al multiculturalismo): “La filosofia interculturale[…]si presenta anche come una modalità di pensiero che pur muovendo dalla singolarità culturale storicamente determinata[…]non rinuncia ad una dimensione di universalità resa plausibile dalla conoscenza e dalla comunicazione di elementi comuni e da tutte le opportunità offerte dalla relazione interculturale.[…]Interculturalità[…]vuol essenzialmente dire ricerca di uno spazio condiviso – dentro e fuori le singole culture nazionali – in cui la grande questione dell’identità di una cultura o di una comunità non è più individuabile nelle mitologie razzistiche e nelle ideologie nazionalistiche […] ma nei continui processi di una dinamica transculturale, nella quale depositiamo la nostra tradizione e ci disponiamo ad accogliere le altre tradizioni.[…]Non si tratta soltanto[…]di attestare l’esistenza e il diritto di altre culture[…]ma anche e soprattutto di favorire in modo programmatico la contaminazione e il re ciproco grado di conoscenza. Per questo si può distinguere il multiculturalismo dalla interculturalità, da un processo di integrazione interculturale.” Ibidem, pp. 238-241.
L’interculturalità, in sostanza, ripropone “in chiave socio-antropologica” il principio storicista fondato sull’“aperta connessione tra universalità e storicità”, e, radicalizzando i “principali motivi teorici posti a base delle filosofie storicistiche ed ermeneutiche”, aspira “ad essere il tentativo di superamento di ogni forma di monologo, ma intende proporsi anche come qualcosa di più della pur auspicabile dialogicità intraculturale[…]. [La postmodernità]si può esprimere[…]anche grazie ai metodi e ai contenuti di una filosofia interculturale. Essa vuole introdurre e utilizzare[…]un nuovo paradigma filosofico[…]che sappia utilizzare il ripensamento delle tradizionali concettualità e categorie del pensare in una funzione di critica di ogni logica dell’esclusione e di costituzione di un diverso universalismo dell’integrazione non egemonica e non unica delle culture.” Ibidem, pp. 241-244 (corsivi nel testo: ivi si veda anche la nota 11).
22 Secondo l’accezione veicolata a partire da C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 1965 (Paris, 1958) e sviluppata, ovviamente, dagli epigoni del pensatore francese.
23 Sulla complessità del modello comunitario (in particolare occidentale) sto elaborando una ricerca di ampio raggio, di cui ho sintetizzato i presupposti e le successive articolazioni nella Premessa al mio “Comunitarismo” e “comunità”, cit., che ne rappresenta una sorta di lavoro introduttivo.
24 Le tensioni appena menzionate emergono chiaramente anche in un autore come Will Kymlicka, d’impostazione liberale, in particolare nel suo Liberalism, Community and Culture, Clarendon Press, Oxford, 1999, nel quale Kymlicka distingue tra political community and cultural community, nel senso che “the political community may contain two or more groups of people who have different cultures, speaking different languages, developing different cultural tradition” (p. 135).
25 Queste soluzioni vanno intese, ovviamente, come l’articolazione, a livello istituzionale, delle categorie analoghe di cui si è detto in precedenza.
26 Riguardo agli indici della crisi del “multiculturalismo”, inteso in un’accezione molto lata e sostanzialmente coincidente con la “questione multiculturale”, si veda, ad esempio, G. Mari, Crisi del multiculturalismo e radici universali dell’Europa, in “Iride”, XVIII, 44, 2005, pp. 29-37, in particolare p. 29.
27 Il riferimento è al celebre J. Habermas – C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli, Milano, 19992 (Frankfurt am Main, 1996).
28 La nozione di “lotta per il riconoscimento” è stata introdotta da Axel Honneth nel suo Kampf um Anerkennung. Grammatik socialer Konflikte, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1992.
29 J. Habermas – C. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, cit., p. 52 (corsivo nel testo).
30 Ibidem, pp. 52-55.
31 Ibidem, pp. 52-62.
32 Sul punto mi permetto di rinviare al mio “Comunitarismo” e “comunità”, cit, capp. 1-4.
33 Kymlicka auspica l’intervento del diritto a favore delle “minority cultures”: o, meglio, l’introduzione di “some measures of cultural protection are justified, even if their precise application is subject to variation and their outermost boundaries are undefined.[…]Once we recognize cultural membership as an important primary good which underlies our choices, then special political rights and status for minority cultures may be required”. W. Kymlicka, Liberalism, Community and Culture, cit., p. 199 (corsivi miei).
34 Il problema si riallaccia alle ricordate matrici etno-antropologiche della nozione di “cultura”.
35 Sulla cosiddetta deep Ecology rinvio a M.C. Tallacchini, Diritto per la natura. Ecologia e filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 1996.
36 Ci si riferisce alla nota questione, cui Charles Taylor dedicò grande attenzione, del riconoscimento e della tutela da accordare sul piano giuridico alla minoranza francofona in ambito canadese e, in particolare, al territorio del Québec.
37 Su questi aspetti ho già abbozzato alcune osservazioni in G. Bombelli, Una chiave di lettura: per un’introduzione, cit., in particolare pp. 23-29.
38 Va ricordato, infatti, che le varie “dichiarazioni” dei diritti, come anche i molteplici testi costituzionali affermatisi a partire dalla fine del Settecento, configurano la concreta articolazione della sfera giuridica soggettiva in termini esplicitamente identitari e, cioè, in relazione alle libertà fondamentali: di parola, di culto, ecc.
39 Con riferimento alla classificazione proposta in N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990.
40 Si pensi alle recenti polemiche sorte in ambito francese e legate ai divieti di conferire visibilità, a livello pubblico, a simboli/segni di riconoscimento di carattere religioso (dal divieto di indossare il “burqa” alla presenza e/o rimozione del crocefisso). Tale scelte, in realtà, si pongono in qualche modo in contraddizione con le stesse matrici illuministe del modello d’Oltralpe, cui, come osservato alla precedente nota 38, in realtà è forse sottesa una chiara attenzione alla dimensione identitaria.
41 La nozione di “cittadinanza multiculturale”, come noto, è stata introdotta da W. Kymlicka, Multicultural Citizenship, Clarendon Press, Oxford, 1995. Sulla problematicità della figura giuridica della “cittadinanza” si veda anche E. Codini, Identità, integrazione e cittadinanza tra diritto europeo e diritti nazionali, in G. Bombelli – B. Montanari (a cura di), Identità europea e politiche migratorie, cit., pp. 127-147.
42 Nella linea di quanto prevede l’art. 2 della Costituzione a proposito delle “formazioni sociali”: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
43 Il principio del cuius regio eius religio sancito con la pace di Westfalia (1648) individua nella sfera (o dimensione) religiosa l’elemento di sintesi della varie componenti culturali allora in gioco. Il “quasi” utilizzato nel testo vuole sottolineare che il profilo “multiculturale” alle origini della modernità va inteso in chiave ben diversa dalla nozione di “multiculturalismo” invalsa nel dibattito odierno e di cui si è detto nelle pagine precedenti: l’affermazione degli stati moderni, infatti, ha come sua premessa la precedente epoca medievale, nella quale, come già osservato, tutte le “identità nazionali” trovavano composizione armonica.
44 In tal senso, lo stesso Taylor richiama (riferendosi alla realtà americana) la centralità del sistema educativo, poiché “il luogo principale di questo dibattito è, in senso ampio, il mondo dell’istruzione”: J. Habermas – C. Taylor, Lotte per il riconoscimento, cit., p. 53. Ma in proposito rinvio anche a quanto qui inizialmente osservato alla nota 1.
45 G. Mari, Crisi del multiculturalismo e radici universali dell’Europa, cit., p. 29 (corsivo mio).
45 Sulla problematicità della figura del “dialogo” si vedano i rilievi formulati in F. Riva, Dal monologo al dialogo: per un’etica dell’intercultura, in V. Cesareo (a cura di), L’Altro. Identità, dialogo e conflitto nella società plurale, cit., pp. 56-69, per il quale “la situazione etica e sociale del dialogo è davvero paradossale. Il paradosso non riguarda la contingenza in cui il dialogo si trova di volta in volta immerso, ma ne struttura la situazione. Il paradosso è la struttura stessa del dialogo.” Infatti, “invocato all’interno del pluralismo, si trova ad essere a sua volta pluralizzato e multiculturalizzato.[…]In un contesto pluralistico del dialogo non si condivide nemmeno l’idea, il modo, la strategia. Il dialogo viene attratto, in altri termini, nell’abisso del problema che dovrebbe risolvere. Il dialogo coincide con la crisi che lo invoca. Il dialogo è la sua stessa crisi.” (per l’Autore ciò appare chiaramente nella sfera religiosa).

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