BREVI NOTE SULLE RADICI DELLA «SELVA» DEI DIRITTI UMANI.
L’EVOLUZIONE DEI DIRITTI TRA RELIGIONE E POLITICA
di Torquato G. Tasso
Università degli Studi di Padova

2. Il mondo classico e i diritti umani. I fondamenti evidenti della convivenza
Volendo continuare in questo (ce ne rendiamo conto) breve e veloce excursus storico sulle radici dei diritti umani, tappa d’obbligo è certamente quella della tradizione culturale classica.
Ci sia consentito partire da una volutamente suggestiva e, per certi versi, provocatoria, affermazione di Saint-Just che aveva avuto modo di affermare che «i diritti dell’uomo avrebbero causato la rovina di Atene o di Lacedemone».
Una semplice lettura dei più ricorrenti diritti dell’uomo, celebrati nelle numerose dichiarazioni che costellano il panorama internazionale anche attuale, non può che farci avvertire, infatti, l’enorme iato che separa la cultura e la società classica dalla cultura a noi più prossima e rappresentata dalle varie dichiarazioni.
Solo per fare dei semplici esempi, l’enunciazione dell’uguaglianza tra i sessi è in evidente collisione con l’assoluta e radicale esclusione sociale e politica della donna sia in Grecia sia a Roma. A questo proposito basti ricordare Esiodo che, sia nella «Teogonia» che nelle «Opere e i Giorni», afferma che la donna viene creata dalla divinità dopo l’uomo e che questa creazione dà origine al male nel mondo. La donna, infatti, secondo Esiodo, rappresenta un «grande flagello per i mortali» e «compagna di imprese penose».
Sempre nella medesima prospettiva, non possiamo dimenticare che la società classica riconosceva come legittima e (in alcuni casi autorevolmente) giustificava la schiavitù, contraria ai formali enunciati di uguaglianza universale e di condanna della schiavitù propria dell’era moderna.
Anche Aristotele afferma ne La politica, che «Gli schiavi e gli animali domestici sono quasi uguali e rendono su per giù gli stessi servizi. La natura stessa vuole la schiavitù, perché fa differenti i corpi degli uomini liberi da quelli degli schiavi: gli schiavi col vigore che richiedono i lavori a cui sono predestinati, gli uomini liberi incapaci di curvare la loro diritta statura a opere servili e adatti, invece, alla vita politica e alle occupazioni guerresche o pacifiche. Dunque gli uomini sono liberi o schiavi per diritto di natura: la cosa è evidente. Utile agli stessi schiavi, la schiavitù è giusta» .
[6]Se questo era il punto di partenza, malgrado le voci che a volte, timidamente, si levavano contro tale stato di cose [7] e che, ovviamente, non erano sufficienti a riequilibrare un principio assodato ed eliminare le evidenti differenze dalla cultura moderna, possiamo ben comprendere come la cultura classica potrebbe apparire (anzi appaia) molto lontana (se non contraria) ai diritti umani sanciti dalle carte moderne.
Volendo però soprassedere, per il momento, da questa evidente dissonanza, ovviamente in una determinata prospettiva insuperabile, possiamo cercare di verificare se, ad ogni modo, sia rinvenibile nella tradizione classica un accenno a dei concetti che siano in qualche modo ricollegabili alla tematica dei diritti umani e, nel caso, il loro modo di proporsi in questa tradizione.
Il termine «diritti umani», innanzitutto, si può certamente veder riecheggiato nelle parole greche spesso ricorrenti nelle pagine di vari autori tá koiná tón anthrópon díkaia, parole che potremmo tradurre in «i diritti comuni agli uomini»; tale inciso, ad esempio, si trova in Polibio, il quale nel narrare la condotta dei Martineesi, che avevano consentito il massacro degli Achei, malgrado questi in precedenza avessero loro riservato, dopo la sconfitta, un trattamento umano e rispettoso, afferma appunto come i Martineesi avevano violato i diritti che comunemente vengono riconosciuti come fondamentali nella convivenza umana, ossia proprio i tá koiná tón anthrópon díkaia .
[8] Parallelamente si può dire che medesimo significato può essere ricondotto al termine latino di ius humanum, generalmente invocato ove il vincitore, anziché risparmiare i vinti, e quindi anziché rispettare il diritto proprio dell’uomo, si scaglia con ferocia sugli stessi . [9] Partendo da questi primi intuitivi spunti, sarà opportuno ricercare se, nella tradizione culturale classica, siano rinvenibili spunti di riflessione utili per la nostra indagine; a questo proposito è opportuno prendere le mosse dalle tradizioni religiose antiche e, in particolare, da un rito che si teneva in Attica, un rito tradizionalmente chiamato della «sacra aratura»; nel corso della procedura rituale, i sacerdoti, formulavano maledizioni contro coloro che si rifiutavano di assistere il prossimo nelle esigenze più elementari e necessarie alla sopravvivenza, quali quelle del fuoco e dell’acqua o, anche, non aiutavano il viaggiatore nel suo cammino o non davano degna sepoltura ad un cadavere. Quindi, se l’uomo non rispettava queste elementari ed evidenti regole di convivenza, sarebbe stato colpito dalle maledizioni dei sacerdoti e, per traslato, dall’ira divina.
Tali elementari obblighi di assistenza sono spesso presenti nel mondo culturale greco. Basti pensare al celebre episodio dell’opera omerica, nel quale il re troiano Priamo raggiunge di notte l’accampamento nemico e implora l’eroe Achille di restituire il corpo martoriato del figlio, Ettore, da questi sconfitto in duello, per potergli dare degna sepoltura, onde evitare di incorrere nell’ira divina. Anche in questo caso, Priamo, invoca il rispetto di una regola diffusa e comunemente accettata e riconosciuta (la degna sepoltura) assumendo che il mancato rispetto della regola avrebbe determinato l’ira e la vendetta divina.
Ma questi diritti, ripetiamo, unanimemente riconosciuti come fondamentali ed essenziali alla convivenza umana e connaturati alla stessa natura umana, di cui abbiamo fatto cenno, sono dei temi ricorrenti in ogni cultura e tradizione, religiosa e laica, e sono, in fondo, rinvenibili anche all’interno della tradizione cristiana, a noi storicamente più vicina, delle c.d. opere di misericordia, ossia di quelle opere richieste da Gesù nel Vangelo per ottenere il perdono dei peccati ed entrare quindi nel suo Regno, opere che, superfluo forse ricordare, annoverano anche il dovere di dare acqua all’assetato, nutrimento all’affamato e sepoltura ai morti.

3. Una prima (semplice) interlocutoria riflessione
Cominciando a svolgere le prime conclusioni di questa breve ricerca, questi primi spunti di riflessione ci permettono di comprendere come un elemento sempre presente fin dalle prime testimonianze giuridiche dei diritti umani sia lo stretto legale della rappresentazione e della garanzia del rispetto dei diritti umani con la religione; l’idea dei diritti umani è, fin dall’inizio, strettamente connessa all’elemento religioso; abbiamo visto in precedenza Hammurabi e, con questi, tutta la tradizione culturale mesopotamica, che interveniva a tutela dei deboli e degli oppressi contro l’oppressore, ma sempre come portavoce della divinità, quale esecutore della volontà divina; abbiamo visto che sono sacerdoti coloro che in Attica lanciano anatemi nei confronti di chi viola le regole fondamentali della convivenza umana, ed abbiamo visto come queste, se non osservate, generano l’ira divina.
Tutto viene quindi proiettato nella sfera metafisico-religiosa, quasi a voler fondare la tutela di questi diritti fondamentali all’interno di una idea e di un progetto divino degli stessi.
Ciò che, inoltre, caratterizza il modo di proporsi dei diritti umani, fin dalle origini, è che lo stretto legale con la religione si configura come lo sfondo su cui operano gli uomini, nel conflittuale rapporto tra loro. I diritti umani appaiono come una serie di regole di convivenza dei consociati, talmente elementari da non poter non essere riconosciute da tutti e il cui rispetto è visto come un principio altrettanto elementare per un essere umano al punto da assumere quasi il carattere della consuetudine; la divinità, quindi, si pone come garante dell’osservanza e punitrice dell’eventuale violazione, violazione che, si deve ricordare, può essere solo posta in essere dagli uomini, oppressori, a danni di altri uomini, più deboli; in questa prospettiva, quindi, è l’uomo che può violare i diritti degli altri uomini o, se vogliamo, dell’umanità propria di ciascuno in genere, e lo Stato, inteso come organizzazione politica, non compare tra i possibili violatori ma semmai come artefice del rispetto degli stessi, garante dell’osservanza per incarico divino.

4. Verso un’idea «moderna» dei diritti umani. Evoluzione dell’elemento religioso e centralità del Cristianesimo
Se questa era la visione dei diritti in età classica e preclassica, certamente la storia ha portato una singolare evoluzione (per non dire rivoluzione) nei rapporti dei soggetti interessati e, in particolare, del ruolo rivestito nella dialettica dei diritti dallo Stato e dalla religione.
Nel corso dei secoli si è potuto assistere – innanzitutto – ad una singolare evoluzione del rapporto tra religione e diritti umani, nella quale l’elemento religioso, che prima era uno sfondo, come una sorta di palcoscenico sul quale gli attori erano gli uomini, diviene diretto protagonista della loro individuazione e previsione.
Inoltre, si può notare come, in questa procedura di determinazione dei diritti, acquisti un ruolo centrale, per non dire quasi esclusivo, il Cristianesimo, quale religione maggiormente diffusa nelle realtà politiche continentali, maggiormente interessate dalla discussione sui diritti.
Per un moderno è, infatti, impensabile concepire l’idea dei diritti umani senza ricorrere alle categorie del Cristianesimo.
Non è un caso che Francesco Gentile afferma «dove trovare fondamento per i diritti fondamentali? Consapevole del sapore paradossale che l’affermazione potrebbe avere, risponderei senza esitazione: nelle radici cristiane dell’Europa» . [10] Secondo Norberto Bobbio la matrice è strutturale e trova fondamento in una idea cardine del Cristianesimo: «la grande svolta ebbe inizio in Occidente dalla concezione cristiana della vita, secondo cui tutti gli uomini sono fratelli in quanto figli di Dio ». [11] Il contributo teoretico del cristianesimo ai diritti umani è – dunque – sicuramente indubitabile. Un primo significativo contributo riguarda i principi teologici cristiani su cui trovano fondamento alcuni concetti generali ed primari che sono condizione degli stessi diritti e della loro enunciazione quali l’universalità, la naturalità, ma anche in particolare la soggettività e la dignitas umana il cui legame con i diritti umani, come evidenzia Umberto Vincenti, è indiscusso nella scienza giuridica moderna[12] ; la solidarietà, e su un piano più politico la netta distinzione tra potere temporale e potere spirituale. Un secondo ed altrettanto interessante e proficuo (ai fini della detta evoluzione) contributo è attinente alla riflessione teoretica relativa all’idea fondamentale del diritto e della legge naturale anche, e soprattutto, come limite al potere temporale che troverà il suo naturale sviluppo nella nascita dello Stato Moderno.
Indubitabile che entrambi i contributi hanno influito sulla delineazione del primo nucleo dei diritti civili e politici, nella costituzionalizzazione dell’ottocento, e, in seguito, nell’enucleazioni dei diritti sociali, i cosiddetti diritti di seconda generazione, nella costituzionalizzazione del novecento.
All’interno di questa significativa influenza, precipua è l’evoluzione che ha riguardato la dottrina cattolica. Sensibile è l’evoluzione se pensiamo che nell’ottocento pubbliche erano le condanne dei principi individualistici dei diritti formulate da Gregorio XVI che, nella sua enciclica Mirari vos del 1832 conferma l’ostilità della Chiesa cattolica per i diritti umani, condannando e bollando come «errore contagioso» le libertà di coscienza, e di pensiero e di stampa: «pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita "libertà della stampa" nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti».

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