DIRITTO E LIBERTÀ*
di Ottavio de Bertolis
(Pontificia Università Gregoriana – Roma)

15 K. MARX, Sulla questione ebraica, in K. MARX – F. ENGELS, Opere, 176, cit. in F. GENTILE, Intelligenza politica, cit., 91
16 Ivi, 177.
17 Cfr. L. DUMONT, Homo hierarchicus, cit., 82. Nella prospettiva individualistica, la società è concepita invece non come un tutto, ma come un ammasso, cfr. A. SUPIOT, cit., 56.
18 Il noto “placito di Màrturi”, vicino a Siena, nel 1076.
19 Parola interessante che dice in uno il tipo di esistenza di una cosa, la legge di sviluppo del suo essere, il suo funzionamento ordinario o “normalità di funzionamento”, e la normatività, ossia il dover-essere insito in esso. Del resto, la vita umana, individuale e sociale, “si dispiega al tempo stesso sul terreno dell’essere e del dover essere”, A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 14. Più in generale, non è possibile invocare la “legge di Hume”, per la quale non è possibile dedurre da proposizioni descrittive (succede così) proposizioni prescrittive (deve succedere così), il cavallo di Troia del non-cognitivismo etico nel mondo dei valori e il grimaldello per separare il problema del bene dal problema del giusto, per il semplice fatto che “nel campo del diritto non si ha a che fare con «meri fatti», come possono essere quelli oggetto di osservazione delle scienze naturali o delle scienze sociali descrittive (come la sociologia nella sua forma più elementare), analizzabili in termini quantitativi e comprensi bili […] alla stregua delle leggi di causalità: il diritto ha a che fare con «fatti umani», comprensibili in tutt’altro modo, cioè secondo categorie di senso e valore”, G. ZAGREBELSKI, La legge e la sua giustizia, cit., 187.
20 Digesto 50, 17, 1: “Recte iubetur quod non ex regulis ius sumatur, sed potius ex iure quod est regula fiat”.
21 E.W. BÖCKENFÖRDE, Diritto e secolarizzazione: dallo Stato moderno all’Europa unita, a cura di G. PRETEROSSI, Roma-Bari 2007, 53. Più in generale, possiamo osservare che “non sono scientifici i fondamenti della scienza e non sono politici i fondamenti della politica”, M. PERA, Perché dobbiamo dirci cristiani, Il liberalismo, l’Europa, l’etica, Milano 2008, 47, proprio perché altrimenti si ripresenterebbe la necessità di provarli scientificamente, in quella che i logici medievali chiamavano la probatio ad infinitum. Per questo, possiamo anche dire che non sono legali i fondamenti della legge, e che il diritto non si risolve solo in una teoria della legalità, ma anche della giustizia. Per un’analisi delle tesi di quest’ultimo Autore, rinvio al mio «Dobbiamo dirci cristiani?», in Civ. Catt. 2009 II 574-586.
22 Recepisco così la critica così generosa e amicale mossami da N. IRTI, «In dialogo su “Nichilismo giuridico”», in Rivista internazionale di filosofia del diritto 82 (2006) 4, in risposta al mio «Il nichilismo giuridico», in Civ. Catt. 2005 III 399-410.
23 Mantengo questo esempio così singolare perché è quello che fece J. MARITAIN, Nove lezioni sulla legge naturale, Milano 1985, 44: “Alle prese con un qualunque aggeggio di cui non si conosca il segreto, sia esso un cavatappi, una trottola o una bomba atomica, tanto i bambini quanto gli scienziati, nel desiderio di scoprire come usarlo, ne cercheranno la legge tipica, e non metteranno certamente in dubbio l’esistenza di una sua legge intrinseca”. Questa è stata intesa come la famosa “legge naturale”, iscritta nelle cose ma interpretata dall’uomo in quell’esercizio primordiale di iuris dictio, di “dire il diritto” di quel che trovo di fronte a me.
24 Per la comprensione di questo termine mi permetto di rinviare al mio Il diritto in San Tommaso, cit., 59-65.
25 Il che costituisce un capovolgimento di quel concetto tradizionale e acriticamente assunto di “diritto soggettivo”, come “costituito da un potere, attribuito alla volontà del soggetto e garantito dall’ordinamento giuridico, di agire per il soddisfacimento dei propri interessi”, A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova 198024, 45.
26 Ed è esattamente riproporre oggi quanto fece Graziano, inventando il diritto canonico, distinguendolo cioè dalla morale e dalla teologia, e compiendo la prima delle grandi rivoluzioni occidentali, la laicizzazione del diritto. Questa, com’è noto, è la tesi di H.J. BERMAN, Law and Revolution [1983], trad. it. Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale, Bologna 1998.
27 A. ROSMINI, Filosofia del diritto, Padova 1967/1969, I, 191, cit. in M. FERRONATO, La fondazione del diritto naturale in Rosmini, Padova 1998, 70. Non è un caso che il Roveretano abbia per primo, e prima di Kelsen, intuito la necessità di un controllo contenutistico delle leggi in relazione alla loro conformità o meno a una norma superiore, cioè abbia, per dirlo in termini attuali, prospettato la necessità di una Corte Costituzionale. La Grundnorm è appunto l’uomo stesso, e non un testo (anche se l’uomo si esprime con dei testi). Cfr. A. ROSMINI, La costituzione secondo la giustizia sociale, cit. in P. COSTA, «Lo Stato di diritto», in P. COSTA – D. ZOLO (edd.), Lo Stato di diritto. Storia, teoria, critica, Milano 2002, 107 con puntuale bibliografia.
28 E’ la sfida con la quale si qualifica l’illuminismo, il trionfo della ragione, cosa alla quale tutti siamo molto favorevoli, ossia come l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità: cfr. I. KANT, Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung [1783].
29 Che i positivisti puri ritengono fondativa del diritto e suo presupposto, nel senso che le leggi (l’insieme delle quali viene concepito tout court come “il diritto”) traducono e attuano la politica del potere; per noi avviene invece il contrario, poiché pensiamo che il diritto, nel senso ampio da noi ritenuto, fondi la politica, secondo il modello del Rule of Law.
30 Sul punto, cfr. F. GENTILE, Intelligenza politica, cit., 3-6.
31 L. DUMONT, Homo hierarchicus, cit., 84.
32 Anche non di origine puramente statuale, ma comprendendo in essa anche le fonti infrastatuali (leggi regionali) e soprastatuali (Comunità europea). Qualcosa di analogo a quanto propongo accade nella formazione della nuova lex mercatoria ad opera della comunità dei giuristi e degli usi accolti nel commercio.
33 Cfr. Summa Theol., I II, q. 91, a. 3. Qui Tommaso riprende un’affermazione già aristotelica, cioè pagana e dunque laica, che misura le nostre idee a partire dalla terra, dalla stessa realtà delle cose.
34 Cit. in F. STELLA, La giustizia e le ingiustizie, Bologna, il Mulino, 2006, 126-127. Una critica molto acuta all’operato del giudice Brennan è in M.A. GLENDON, Tradizioni in subbuglio, a cura di P.G. CAROZZA e M. CARTABIA, Soveria Mannelli 2007, 175-190.
35 Del resto, nessuna scienza può essere verificata o falsificata rimanendo all’interno dell’orizzonte nel quale si pone: verificazione e falsificazione postulano logicamente la necessità di un riferimento ad altro. La “teoria pura” del diritto si risolve in un solipsismo letale, in un insieme di testi non contraddittori. E infatti lo stesso Kelsen, che capì il problema, si vide costretto a fare riferimento all’efficacia, cioè all’effettiva osservanza, del diritto, ossia al suo vissuto consenso, condicio per quam della sua stessa validità, ossia della tenuta logica delle sue proposizioni. Il che significa che il diritto necessariamente si riferisce a qualche cosa che va fuori di sé, proprio come una ragnatela (qui metafora del procedere deduttivo e intersecantesi delle disposizioni normative) ha bisogno di poggiare su punti-forza esterni per reggersi: e questi punti-forza non appartengono alla ragnatela come tale, ma ad altre dimensioni, che, nel nostro discorso, sono il consenso della comunità su valori com unemente condivisi, su un “bene” e su un “giusto” previ alle leggi come tali.
36 Cfr. P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari 2003, 25-29: per questo il diritto si qualifica come osservanza di regole da tutti percepite come tali, e non come obbedienza a degli ordini. Anche qui è evidente il parallelismo con la lingua, notato dall’Autore stesso: come tutti noi impariamo a usare il congiuntivo perché sentiamo che si usa così, e desideriamo farci capire dalla comunità dei parlanti, aderendo così all’uso comune, così avviene per la disposizione all’osservanza di regole comuni, in quanto ne percepiamo la loro giustizia e l’uso condiviso: “chi parla in un certo modo idoneo e corretto, non lo fa per obbedire a una regola ma per la convinzione di instaurare in tal guisa un efficace rapporto comunicativo con i suoi simili”, P. GROSSI, Prima lezione di diritto, cit., 27. Questo comportamento avviene anche in assenza di regole giuridiche positive, ed è proprio ad esempio degli usi commerciali: si è liberi di non osservarli, ma, se lo si facesse, si verrebbe esclusi dal circuito dei commer cianti, il che è la massima sanzione possibile. In questo senso, A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 178, osserva “la norma giuridica […] trae la propria forza dalla fede condivisa in un dover essere che essa cerca di tradurre in pratica”.
37 A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 26.
38 A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 12: “L’accesso alla parola, che costituisce la caratteristica propria dell’umanità, rappresenta al tempo stesso la minaccia di una porta aperta sul delirio”. Di qui la necessità di alcune risorse dogmatiche, qui quelle linguistiche, al fine di permettere la reciproca comunicazione: condividiamo infatti, come abbiamo accennato nell’Introduzione, il senso logico della grammatica e la comunicazione interumana. Il diritto, a sua volta, dovrà garantire la personalità giuridica degli individui, che essi peraltro non possiedono in quanto individui empirici, essendo essa piuttosto una costruzione culturale e non naturale: questo significa che deve attuare e tutelare la loro non comprimibilità o utilizzabilità a oggetti. In tal modo è delineato il legame antropologico tra diritto e linguaggio, che è una delle tesi sostenute in questo libro, sulla scia del pensiero di questo Autore, il quale infatti, a p. 12, prosegue: “Come la libertà di parola e la possibilità di comunicare non sa rebbero possibili senza la dogmaticità insita nella lingua, così gli uomini non potrebbero vivere liberamente e di comune accordo senza la dogmaticità propria del Diritto. L’Autore francese parla di “Diritto”, con la maiuscola, e non di “diritto”, con la minuscola, come a noi forse parrebbe più normale, perché ritiene che i vari diritti soggettivi si debbano inserire in questo “orizzonte comune universalmente riconosciuto” (p. 17), che non coincide con la legge statale, ma ne è condizione di pensabilità, suo orizzonte antropologico. In tal senso, le sue tesi, da noi evidentemente sostenute, ripropongono molto ragionevolmente e in modo adeguato alla nostra cultura contemporanea il vero significato dell’antico diritto, o legge, naturale, e del suo rapporto con la legge positiva.
39 A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 28.
40 Parto da questa immagine di A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 25.
41 A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 26.
42 A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 28.
43 Com’è noto, il Codice Civile del Québec ha da poco autorizzato il diritto all’omogenitorialità femminile, con l’ausilio di apporti genetici di un’altra persona. In base all’art. 538.2 dello stesso Codice è vietato al figlio stabilire un legame di filiazione con il responsabile di tali apporti genetici: il che significa incontrovertibilmente che per quel figlio non vige il diritto all’uguaglianza con gli altri figli. Non è un mistero, d’altra parte, che i c.d. “diritti riproduttivi” sponsorizzati dall’ONU e da molte organizzazioni internazionali, governative e no, siano pesantemente condizionati dal principio di libertà dalla maternità, e non diritto alla maternità e paternità. Il che significa che la donna (e l’uomo, del quale sempre poco si parla) sono tutelati contro la genitorialità, non perché possano invece goderne, sul presupposto ideologico che questa sia una dannazione. Cfr. A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 235, nota 55. Bisogna dunque laicamente chiedersi in base a quale antropologia o idea dell’ uomo e della donna concreti si sia sviluppato tutto ciò.
44 Cit. in H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit. in A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 80.
45 A. SUPIOT, Homo juridicus, cit., 42.
46 Secondo l’assunto già di San Tommaso, Summa theol. I II, q. 90, a. 4: “lex est ordinatio rationis ad bonum commune ab eo qui curam habet communitatis promulgata”.
47 Abbiamo già visto che lo stesso San Tommaso, Summa theol. I II, q. 57, a. 1, ad 1, definisce il ius come ipsa res iusta. Le cose, secondo questa dottrina che in questo articolo abbiamo cercato di riproporre, vengono prima della legge, che ne devono esprimere o tradurre le esigenze. Il ius a sua volta pertiene ad una facoltà distinta dalla ratio, l’intellectus: cfr. il mio Il diritto in San Tommaso, cit., 91-92. A partire dal discorso del Pontefice siamo invitati a un profondo ripensamento non solo giuridico, ma anche epistemologico: non si tratta solo di recuperare la centralità del ius superando l’esaustività della lex, ma anche di riscoprire l’intellectus oltre e accanto alla ratio, per esaltarla e non per sminuirla.

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