LA RICERCA DELLA VERITÀ NEL PROCESSO: UNA PROSPETTIVA SCOLASTICA
di Elvio Ancona

La natura di questo giudizio probabile può essere meglio intesa esaminando, tra i vari testi che vi si riferiscono87, la successiva distinctio dello stesso commento, in cui ci viene detto che la prudenza «non giudica con certezza, bensì, piuttosto, secondo una ponderazione estimativa [aestimative]»88.

L’uso dell’avverbio aestimative ha un puntuale riscontro nel tardo commento all’Etica, dove Tommaso scrive che «poiché nelle realtà singolari [in singularibus] esistono molte differenze, non si può giudicare di esse in base a una regola certa, ma occorre rifarsi alla valutazione [existimationi] del prudente»89. L’affermazione del carattere aestimativus di questo giudizio in singularibus non deve confonderci. Il suo valore epistemico può essere inequivocabilmente desunto da quei passi in cui, sempre riguardo alle azioni umane, si afferma che in singularibus e circa le situazioni contingenti non si può giudicare cum omnimodam certitudinem90, ma secundum ea quae probabiliter et ut in pluribus occurrunt91.
Come è agevole constatare, abbiamo qui un iudicium altrettanto probabilis quanto l’inventio, in aperto contrasto dunque con l’indicazione del prologo del commento agli Analitici secondi che assegna al iudicium l’ambito del certo e alla sola inventio l’ambito del probabile. Ci troviamo pertanto costretti a chiederci che cosa è successo: siamo in presenza di una incoerenza del discorso tomistico, o la contraddizione è solo apparente?
In effetti, il problema non può essere risolto appoggiandosi semplicemente alla distinzione tra procedimenti della ratio speculativa, che porterebbero a un iudicium certo, e procedimenti della ratio practica, che porterebbero a un iudicium probabile. Come abbiamo visto, ciò che rende probabilis il giudizio prudenziale non è tanto la sua appartenenza all’ambito della ratio practica, quanto il suo esercitarsi in singularibus92. È questo peraltro il motivo ontologico di ogni conoscenza probabile, equivalente al suo vertere circa contingentia et variabilia93. I singolari, infatti, non sono altro che le realtà mutevoli considerate nella loro individualità, ed in quanto tali, non essendo conoscibili con l’infallibile certezza del sapere dimostrativo94, possono dar luogo solo a giudizi probabili.
Sembrerebbe allora di dovere ammettere che l’Aquinate abbia usato iudicium e le altre voci della sua famiglia lessicale in modo equivoco e che nel vocabolario tomistico questo termine possa designare tanto una conoscenza certa quanto una probabile. Ma questa conclusione, per quanto sensata, non è ancora una spiegazione sufficiente della persistenza della relazione antonimica tra inventio e iudicium una volta che i rispettivi atti siano entrambi intesi quali modalità della conoscenza probabile. Per spiegare adeguatamente tale persistenza si deve ricorrere a un altro significato della loro opposizione, relativo alla differenza tra ragionamento inquisitivo (via inventionis), che cerca una soluzione al problema posto partendo da principi noti, e ragionamento risolutivo (via iudicii), che riconduce ai principi la soluzione individuata95. Ora, mentre i ragionamenti della via inventionis sono sempre probabili, i ragionamenti della via iudicii possono essere certi o probabili a seconda che la resolutio pervenga o meno ai principi propri della materia indagata96; si avranno così nel primo caso i summenzionati sillogismi demonstrativi e nel secondo sillogismi dialectici97. La dialettica, in quanto è metodologia di tutta la conoscenza probabilis, dovrà pertanto includere non solo i ragionamenti inquisitivi, che probabili sono per antonomasia, ma anche ragionamenti risolutivi culminanti in giudizi di carattere altrettanto probabile. Cosicché, tanto nella via inventionis, quanto nella via iudicii, in quanto entrambe svolgentisi nell’ambito della conoscenza probabile, la dialettica si presenta come il metodo della ricerca della verità.

6. Il metodo della ricerca della verità nei processi – Un’applicazione, e quindi una verifica, di questa funzione aletica della dialettica si può riscontrare proprio nel mondo della giurisprudenza. La dialettica si prospetta infatti come l’unica metodologia possibile per la ricerca della verità anche in quello specifico ambito della conoscenza probabilis che, come abbiamo visto98, è la scena processuale99. Sebbene nell’opera tomistica non si trovino esplicite teorizzazioni in merito, possiamo averne conferma mediante una rapida indagine sulla presenza e l’uso della terminologia dell’inquisitio, dell’inventio e del iudicium che vi si rilevano in alcuni passi di attinenza giudiziaria.
Sul punto, occorre innanzitutto osservare che queste espressioni avevano un preciso significato nella procedura del tempo e che Tommaso ne era ben consapevole100. Anzi, come scrive l’Isaac a proposito dell’attitudine del maestro domenicano al riguardo, «on peut avoir l’assurance que, lorsqu’il distingue dans la science l’inquisitio et le iudicium comme deux démarches psychologiques successives, il pense en arrière-plan et de façon très consciente à l’administration de la justice»101.
In effetti, nella riflessione metodologica tomistica, lo svolgimento del processo costituisce indubbiamente uno dei contesti di riferimento, in cui l’opposizione tra un’inquisitio che conduce a un’inventio e un iudicium che si esercita su quanto è stato rinvenuto manifesta più chiaramente il suo effettivo funzionamento. In essa, peraltro, si possono cogliere abbastanza distintamente, in parte proprio attraverso il confronto con la razionalità scientifica, anche le specifiche connotazioni che in ambito giudiziario caratterizzano la triade in esame.
Per l’esattezza, considerando con attenzione il linguaggio tomistico e in esso tutte le varianti lemmatiche dei primi due termini, possiamo notare che inquisitio, nella sua accezione forense, denota l’indagine o inchiesta condotta nella fase istruttoria del processo e finalizzata all’assunzione delle prove102, mentre inventio rinvia alle conclusioni che ne vengono tratte. Con questa precisazione, tuttavia, che se nella prassi conoscitiva in generale l’inventio è normalmente associata all’inquisitio103, nel suo impiego giudiziario, conformemente all’uso del tempo, tende piuttosto a identificarsi con il iudicium, poiché designa l’atto con cui il giudice accerta la responsabilità dell’imputato quale risulta o dovrebbe risultare nella sententia104.
Quanto al iudicium stesso, poi, il Dottore domenicano afferma espressamente che la parola è stata coniata per significare l’actum iudicis inquantum est iudex, ovvero la definitionem vel determinationem iusti vel iuris, la determinazione giudiziale di ciò che è giusto105, ed è stata successivamente estesa fino a coprire i domini più diversi della speculazione e dell’azione106.
In particolare, l’Isaac fa notare come “le parallélisme entre le jugement scientifique et le jugement judiciaire”, si possa ritrovare negli scritti dell’Aquinate fin nel dettaglio: entrambi i giudizi, sia quello del “juge”, sia quello del “savant”, consistono nell’affermazione di proposizioni ritenute vere; entrambi sono opera di virtù e manifestazione, sia pure provvisoria, di certezza; entrambi si riferiscono a delle regole, norme o principi, e le applicano ai casi particolari; entrambi rappresentano la conclusione di un ragionamento e possono essere considerati tanto dal punto di vista della materia quanto da quello della forma107.
Lo stesso Tommaso, del resto, portando alla luce – osserva ancora l’Isaac108 – ciò che si trova supposto lungo tutta la sua opera, ha sviluppato in più occasioni il paragone tra le due specie di giudizio, per esempio nell’articolo sull’interpretatio in meliorem partem di ciò che è dubbio109, o in quello già richiamato sulla maggiore probabilità del testimonium duorum vel trium110. Egli ha così fatto emergere altresì un problema che è per noi di speciale interesse.
Come si può notare, vi sono infatti in questi testi anche degli specifici riferimenti al valore epistemico del giudizio processuale che ripropongono nel merito il tema del confronto con le qualità tipiche del giudizio scientifico. Il punto merita di essere approfondito in quanto solleva l’importante questione del grado di certezza connotante inquisitio, inventio e iudicium in ambito giudiziario.
Va subito detto al riguardo che in effetti tale questione concerne semmai proprio il iudicium – e quindi di conseguenza l’inventio collegata ad esso – poiché non possono esservi molti dubbi sulla natura probabilistica dell’inquisitio giudiziaria, come è dimostrato, tra l’altro, dall’accostamento del suo svolgersi con il procedere modo disputativo111.
Dubbi potrebbero sussistere invece – dicevamo – circa il valore epistemico del iudicium in cui esita la procedura, dato che, a dispetto dell’ambito in cui viene pronunciato, nei testi menzionati
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risulta ripetutamente paragonato con il giudizio scientifico, che si presenta come assolutamente certo.
Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di dubbi facilmente superabili, se non altro perché il paragone tra i due giudizi, proprio a livello epistemico, è sviluppato in termini oppositivi, piuttosto che assimilativi. Per scioglierli definitivamente, comunque, è sufficiente ricordare il carattere probabilis della conoscenza basata su testimonianze112, conoscenza cui appartiene indubitabilmente il iudicium processuale, oppure il fondamentale ruolo attribuito alla prudentia nella formazione di quest’ultimo113. Il giudizio in questione, dunque, è esso stesso probabile, per quanto lo sia secondo quella peculiare concezione della probabilità che è stata precedentemente descritta114. Pertanto, non può basarsi su semplici sospetti115, non è semplicemente incerto, è anzi compatibile con una speciale forma di certezza116, e tuttavia non perviene alla certezza dimostrativa del sapere scientifico. La sua dev’essere piuttosto considerata come il tipo di certezza attingibile nell’ambito delle materie concernenti le azioni umane, una certitudo probabilis appunto117.

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