Navigando nel mare della filosofia del diritto
di Romina Amicolo

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“Filosofia del diritto. Le lezioni del quarantesimo anno raccolte dagli allievi” di Francesco Gentile, edito nel 2006[1], è il racconto, a cura degli allievi, della navigazione che Francesco Gentile compie nel tenere il quarantesimo corso di Filosofia del Diritto: è la quarantesima volta che Francesco Gentile solca le acque della Filosofia del diritto, ma è una esperienza "assolutamente nuova" ( pag.1), per il docente come per i discenti. Il vascello è l’Università, sede dello studio, in cui il nesso inscindibile di “ricerca e comunicazione del sapere” (pag.5), consente, qualunque cosa si studi, di porsi il problema del “tutto”. Togliere l’ancora e spiegare le vele per navigare nel mare della Filosofia del diritto significa, per i giuristi di oggi e di domani, problematizzare il sapere, sporgendosi innanzi, in un mondo che non si conosce, ed accettando di entrare nell’ignoto, per un autentico e non simulato amore della conoscenza. La Giurisprudenza, ars boni et aequi, nel mettere ordine nelle relazioni intersoggettive, mediante la rappresentazione del suo di ciascuno, di ciò che viene chiamato ius, esige la condizione spirituale di un autentico amore per il sapere, che solo la Filosofia può dare. Di qui il "posto privilegiato" che la Filosofia del diritto deve avere nello studio del diritto e nella preparazione del giurista, che, in quanto mosso da passione per ciò che è la vera filosofia, diviene "sacerdote" (pag.7) dell’arte del buono e dell’equo, del giusto e dell’ingiusto. Ostacolo allo sviluppo della vocazione filosofica del giurista, nella sua tensione verso l’unità della conoscenza, ragion d’essere dello studio universitario, è “il sapere geometrico”, tendenza positivistica alla frammentizzazione del sapere, che preclude “la ricomposizione ad unità” e “la capacità di comunicazione, anche tra discipline molto affini” (pag.8). Nel "sapere scientifico-geometrico il fare è prima del conoscere, ed in quanto tale condiziona il conoscere, che è per il fare" (pag.15) (cd. funzione operativa): l’obiettivo operativo, se da una parte ha origine nel potere "opzionale", non giustificato e razionalizzato dalla “conoscenza prodotta dalla scienza" (pag.17), dall’altra persegue lo scopo di dominare il mondo, escludendo le essenze dall’oggetto di una astratta, analitica e desostanzializzata discussione scientifica, costruita sulla base di un protocollo assunto convenzionalmente e sviluppata nei termini della deduzione di tutto ciò che può derivare da un principio primo posto aproblematicamente (cd.struttura convenzionale). La “pretesa generalizzata” di non prestare alcuna “attenzione per il problema dell’essere" e “di applicare il metodo geometrico anche allo studio delle relazioni giuridiche tra i soggetti”, è il punto “focale e cardinale” del percorso di “geometrizzazione della giurisprudenza” (pag.12), sulle cui tracce inizia la navigazione nel "mare tranquillo dell’arcipelago delle geometrie legali", alla ricerca del senso e dei modi di sviluppo della "concezione positivistica o geometrica dell’ordinamento giuridico" (pag.11), reso "virtuale" dal predominio della forma geometrica del conoscere sulla riflessione intorno all’esperienza giuridica, all’essere ed alla realtà con la quale si opera. Se nel Defensor pacis di Marsilio da Padova, la prima isola, è già presente l’idea della "convenzionalità", per cui la "titolarità formale, puramente convenzionale" e la "effettività del potere politico" (pag.24) sono di per sè sufficienti “al raggiungimento dell’obiettivo operativo prefisso del mantenimento della pace", con la conseguente superfluità del "problema della giustizia della legge" (pag.25), nel Principe di Machiavelli, la seconda isola, diviene chiarissimo il duplice profilo della operatività e della convenzionalità, per cui l’unicità del potere, cioè del soggetto che comanda, vale a dire il principe, viene teorizzata in termini generali ed astratti, divenendo un principio comune a tutte le isole dell’arcipelago delle geometrie legali. Funzionale al risultato dell’unità dell’ordinamento giuridico è la teorizzazione "dello stato di natura", "protocollo indiscusso di ogni versione del sapere geometrico applicata all’ordinamento giuridico" (pag.28): l’uomo è convenzionalmente assunto quale soggetto "inevitabilmente prevaricatore", il cui desiderio(V), sempre maggiore del potere di cui dispone(P), secondo la formula V>P, determina una "situazione di conflittualità" (pag.29) delle relazioni intersoggettive, che il principe fronteggia, "essendo contemporaneamente e contraddittoriamente tutto ed il contrario di tutto" ed assumendo comportamenti che sono "virtuosi" (pag.31), se ed in quanto strumentali alla conservazione del potere. La convenzionalità del sapere geometrico si fonda sul ragionamento del "come se": se il principe di Machiavelli deve comportarsi “come se l’uomo fosse reo”, il sovrano di Bodin, la terza isola, "è colui che nulla riceve dagli altri e non dipende da altro che dalla sua spada", ragionando però,"come se Dio non ci fosse" (pag.36). L’unità del comando, assunta quale fondamento ed elaborata per deduzione, sarà autorità effettiva, a condizione che sia “superiorem non recognoscens”, a condizione cioè, che "il sovrano nulla debba agli altri ed eserciti il suo potere a cascata, attraverso la pluralità dei comandi" (pag.37). La stessa totale ed assoluta discrezionalità del potere sovrano e l’ illimitata latitudine del suo esercizio, sull’isola di Hobbes, fungono sia da “condizione di neutralizzazione della conflittualità dello stato di natura,(..)tutta legata, in modo assolutamente chiaro, alla pubblica spada” (pag.46), sia da garanzia del mantenimento del patto di rinuncia individuale ed universale al proprio diritto su tutto. Il Leviatano, in favore del quale il contratto sociale è stato fatto, “resta nella condizione dello stato di natura e continua ad avere diritto a tutto e nei confronti di tutto”, essendo "l’unico soggetto capace in terra di mettere ordine nelle relazioni intersoggettive tra individui" (pag.49), mentre i rinunciatari si impegnano a riconoscere come propria la volontà del soggetto in favore del quale si è rinunciato, obbedendo alle leggi non per il loro contenuto, ma per la volontà del sovrano, dalla quale deriva la valenza giuridica dell’ interpretazione, in cui il predominio della volontà neutralizza "l’incidenza della scienza sulla giuridicità". "Crepa nel monolito della geometria Hobbesiana" è la contraddittorietà di un diritto(ius), che è ad un tempo "l’assoluta libertà di ognuno" nello stato di natura, e "lo spazio di libertà che è consentito dalla legge"nello stato civile, all’interno del quale il singolo è costretto a vivere sia "la vita come suddito, totalmente vincolato dalla legge” e sia "la vita che la legge gli lascia, nella quale può vivere nello stato di natura" (pag.61). L’ uso “impreciso” del termine diritto (pag.64) scalfisce anche la “visione economicistica”di Locke: se il "diritto di escludere gli altri dal godimento e dalla disposizione dei beni", acquisito nello stato di natura, rimuovendo le cose dallo stato comune e "manipolandole" attraverso l’applicazione del lavoro, è irrinunciabile, in quanto "assunto ipoteticamente quale condizione naturale dell’uomo" (pag.61); e se con il contratto sociale l’uomo rinuncia totalmente a difendersi ed a difendere la proprietà, attribuendo la titolarità di tale "diritto negativo"ad uno stato che potrebbe "asintoticamente, all’infinito"togliere la proprietà "nella misura in cui sia necessario per difenderla"; ne discende necessariamente, la contraddittorietà del "diritto positivo" (pag.64) di proprietà, che dovrebbe fungere da limite all’esercizio del potere, ma finisce per porre il singolo "totalmente alla mercè del soggetto sovrano", nel momento in cui esige, per il godimento della proprietà, la completa rinuncia al diritto di difendersi. La delusione, emersa sull’isola di Locke, per garanzie costituzionali all’esercizio del potere, che risolvendosi in autolimitazioni, "in termini di puro potere non significano quasi niente" (pag.65), aleggia anche sull’isola di Kant, che, dopo aver attribuito alla Costituzione la funzione “di garanzia del mio e del tuo esterno”, si chiede, senza trovare una soluzione coerente: "il mio ed il tuo esterno preesistono o meno alla Costituzione? Assicurare a ciascuno il suo, significa creare o garantire?" (pag.68) La risposta la troviamo sull’isola di Vico, nella rivendicazione di "una conoscenza autenticamente vera" per la Giurispurudenza. L’eco della critica all’applicabilità del metodo geometrico-ipotetico alla Giurisprudenza risuona anche sull’isola di Rousseau: la pretesa di liberare l’uomo dal giogo della relazione intersoggettiva, servendosi di meccanismi "immaginativi" (pag.76), quali, da un lato il contratto sociale, che sdoppia il soggetto e procede alla soggezione di sè come singolo, a sè come membro del gruppo, e dall’altro la volontà generale, che trasforma in pacifici e civili rapporti conflittuali e gravidi di ogni abuso, attraverso il processo assembleare di formazione di una legge, spersonalizzata ed obiettivizzata, in quanto ridotta a mera veste giuridica, è destinata ad infrangersi contro la realtà delle operazioni concrete, condotte da "uomini in carne ed ossa" (pag.81). La geometria legale, che sull’isola di Rousseau, funge da matrice di tutti i codici civili contemporanei, primo fra tutti il Codice Napoleonico, fondando l’idea della unicità della fonte normativa e della fisiologia della "ipertrofia legislativa", riceve la sua sistemazione "finale"sull’isola di Kelsen. Ridotto lo Stato, ad opera della Scienza Statistica, al "potere di imporre a tutti la volontà del comando con la coercizione" (pag.88), la"dottrina pura"trasforma tale potere in diritto e distingue il comando dello stato dagli altri comandi, servendosi del meccanismo di qualificazione formale del sillogismo giuridico: dalla sussunzione della premessa minore, il comando(Soll-norm)sottoposto a verifica della propria giuridicità, nella premessa maggiore, la norma fondamentale (Grund-norm), a-priori e presupposta ipoteticamente, per la quale"bisogna obbedire al potere costituito ed effettivo", deriva la conclusione "se il comando, posto a contatto con l’insieme delle disposizioni della costituzione storicamente previe e delle norme poste in conformità, sia con esse coerente, vale a dire sia in qualche maniera riconducibile e coerente con la norma fondamentale" (pag.93). La scissione tra il criterio di ordine esterno alla relazione intersoggettiva, che pone il comando, lasciando tra parentesi “il problema del perchè si comanda o si obbedisce”, ed il criterio di ordine della Grundnorm assunto per convenzione, che qualifica come giuridico un comando, prescindendo dal suo contenuto, traccia la rotta verso "l’arcipelago delle aporie". La convenzionalità, infatti, essendo incapace di "ordinare" la realtà, trasferisce l’ordinamento giuridico nella"virtualità" (pag.107), e lo riduce all’aporia di un "meccanismo", che "assicura" “l’evento della relazione intersoggettiva”, inevitabile e foriera "di tutti i mali", con la garanzia "dell’indennizzo costituito dall’effetto giuridico prodotto dalla norma" (pag.103). Diritto soggettivo, “zona di potere”, in cui “il soggetto può fare ciò che vuole”, e obbligo giuridico, zona di impotenza, in cui il soggetto deve fare ciò che vuole lo stato, divengono "semafori verdi e rossi", che "fermano o danno il via libera a determinati comportamenti umani" (pag.104), perseguendo esclusivamente l’obiettivo del "controllo sociale", attraverso "l’esercizio del potere da parte del più forte", e prescindendo totalmente dalla giusta regolamentazione dei rapporti tra i consociati attraverso la "comunicazione civile interpersonale" (pag.108). L’aporia dello "Stato", che con gli strumenti del “semplicismo”, “riduzionismo” e “panlegalismo” della concezione normativistica e con la conseguente burocratizzazione della società civile, coarta e soffoca "il libero e spontaneo assestarsi della società, nel suo pullulare di aggregati comunitari" (pag.109), diviene il punto di partenza della critica di Santi Romano, all”"idea di ordine", "astratta" e "applicabile geometricamente ai fenomeni sociali". Mettere ordine e cogliere “la complessità del processo di formazione dell’ordinamento giuridico” significa, per il giurista Santi Romano, "verificare" e "confrontare" “l’idea di ordine, tenendo in considerazione la concretezza delle relazioni giuridiche, che si esprimono nell’istituzione", "manifestazione della natura sociale e non puramente individuale dell’uomo". La "riscoperta della normatività dei fatti”, nei quali già esiste un ordine che l’ordinamento si limita a riconoscere, secondo la formula latina “ex facto oritur ius”, e l’intuizione della "perfetta identità tra istituzione ed ordinamento giuridico" (pag.110) non valgono tuttavia, a porre l’istituzionalismo del tutto al di fuori della geometria legale. "Le espressioni per cui il diritto è il potere dell’io sociale e l’Istituzione è l’io sociale", evidenziano in Santi Romano, come in "tutti i geometri del diritto",la necessità dell’intendimento di “una coscienza superiore", che trasforma la relazione intersoggettiva da reale in astratta e la riduce ad uno “schema” o “tipo di relazione, tanto da giungere alla definizione di un io oggettivo, che in realtà è un io desoggettivato, la fine della personalità e della persona" (pag.110).

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