“La gestione delle crisi nell’Unione Europea e le giurisdizioni nazionali” *
di Gaetano Marini

Ebbene, questi due così diversi criteri regolativi delle interferenze, di tipo sia orizzontale che verticale, tra ordinamenti implicati nella cooperazione, riportano con eguale forza sulla scena il ruolo delle giurisdizioni nazionali.

Sono, dunque, due argomenti molto persuasivi per chiedersi quali siano, a grandi linee, le tipologie, le affinità o le antinomie, degli ordinamenti giudiziari nazionali che virtualmente potrebbero intrecciarsi nell’area delle interferenze normative prodotte dalla cooperazione delle armi per la pace nel quadro europeo.

Ecco un primo grafico, molto generico ma utile per chiarire che cosa dobbiamo aspettarci di trovare nel groviglio delle giurisdizioni di bandiera tra le quali possono crearsi i presupposti di un conflitto virtuale in materia penale, comune o militare.

Ebbene, in questo grafico, vi è posto per ogni tipologia giudiziaria: per i giudici ordinari, specializzati e speciali, garantiti o non dalla precostituzione per legge, secondo l’area di origine, romanistico-continentale ovvero anglosassone.

Tralasciamo le Corti marziali che, dal punto di vista delle garanzie, parrebbero disomogenee rispetto al modello continentale, con il quale d’altra parte potrebbero interferire grazie al rapporto complementare tra difesa comune europea e NATO .

Possiamo invece utilizzare ancora una volta tre esempi tratti dal catalogo delle giurisdizioni di tipo continentale per orientarci in questo contesto caratterizzato dalla eterogeneità dei modelli ordinamentali e processuali di riferimento.

Le indicazioni che vogliamo sottolineare possono essere sintetizzate così:

In Belgio, si vede l’esempio del vuoto normativo lasciato da una giurisdizione militare che non esiste più dopo la soppressione operata da una recente legge del 2003[26]. Questa legge non ha configurato alcun meccanismo particolare per i reati commessi nel corso delle operazioni militari all’estero, salvo la competenza prioritaria del procuratore federale.

In Francia, notiamo la soluzione intermedia di una giurisdizione militare specializzata che è stata creata nel 1982[27] e che ha raggiunto il massimo livello di specializzazione nel 1999 con la istituzione del “ tribunal aux armées” di Parigi, competente per i reati commessi nell’ambito delle operazioni militari all’estero.[28]

In Italia, ancora una soluzione intermedia.

I tribunali militari sono totalmente assimilabili ai tribunali ordinari dal punto di vista delle garanzie dopo la riforma del 1981.

La originaria specialità si è trasformata di fatto in una sostanziale specializzazione che è stata accentuata con la legislazione degli anni 2001 e 2002 e che dovrebbe essere ancora più sottolineata con l’approvazione della ulteriore riforma attualmente in discussione al Parlamento.[29]

Dunque, tre itinerari diversi, due dei quali molto simili: la via francese verso una specializzazione forte e la via italiana verso una specialità debole.

3. Problemi aperti.

Riflettendo sugli esempi ora esposti, tratti dagli ordinamenti giudiziari di tre Paesi d’Europa, notiamo anzitutto che anche una legislazione puramente abolitiva della giurisdizione militare in tempo di pace, come la recente legislazione belga, non potrebbe essere così radicale da rimuovere del tutto il problema.

Le deroghe al diritto comune, stabilite, non a caso, in materia di competenza , prioritaria del procuratore federale, lo testimoniano in modo tangibile.

Ci chiediamo tuttavia se questa opzione abolitiva, in ogni modo, poco “floue”, consenta di dare risposte adeguate alla domanda di tutela penale implicita nella esigenza di gestire situazioni di crisi che danno luogo ad un intervento comune e che non sono nettamente classificabili nel rigido catalogo fondato sulla distinzione fra tempo di pace e tempo di guerra.

Esaminiamo invece le soluzioni, francese ed italiana, che parrebbero più articolate e quindi più adatte a fornire strumenti duttili per misurarsi con le complessità del problema.

Si tratta di soluzioni che, nella diversità, presentano un aspetto comune: la ricerca del “terzo escluso”, beninteso, dalla logica binaria tradizionale, per gestire situazioni altre rispetto alla guerra ed alla pace, con strumenti giudiziari altri rispetto ad una pura giurisdizione di diritto comune e ad una pura giurisdizione militare speciale.

Il “tribunal aux armées” di Parigi , lo abbiamo visto, è l’unica giurisdizione francese competente per i reati commessi nel corso delle operazioni militari all’estero. Presenta una specializzazione ad elevata intensità ed è composto da magistrati appartenenti all’ordine giudiziario, come gli stessi magistrati del pubblico ministero, i quali peraltro vengono distaccati per cinque anni presso il Ministero della difesa. Ha competenze modulabile in relazione agli accordi internazionali. Per contro, il regime giuridico applicato e quello del tempo di pace, con tutte le garanzie della procedura penale comune.

Mi sia permesso ora dire qualche cosa di più a proposito della giustizia militare italiana, per dissipare ogni possibile equivoco circa la sua esatta natura.

Ebbene, i tribunali militari italiani non hanno nulla a che fare con le procedure sommarie delle corti marziali e, almeno dopo la riforma del 1981[30], non rimandano al paradigma oggi inaccettabile di una esclusiva giurisdizione di casta. Non sono il foro domestico delle Forze armate e non presentano l’immagine riduttiva di una sorta di giustizia dei capi perché non costituiscono la mera proiezione, sul piano sanzionatorio penale, di una attività repressiva disciplinare tesa soltanto a tutelare il rapporto gerarchico in senso discendente.

Abbiamo già sottolineato che i tribunali militari italiani sono assimilabili ai tribunali ordinari, dal punto di vista delle garanzie.

Vediamo ora più analiticamente perché. Ma per farlo con adeguati argomenti, torniamo alla riforma del 1981, che ha cambiato il volto della giustizia militare. Per convincersene, basterà ricordare che i collegi giudicanti sono composti da una maggioranza di magistrati, uno dei quali Presidente[31]; che le sentenze sono impugnabili in appello e con ricorso ordinario in Cassazione[32]; che i magistrati militari sono denominati così, non perché abbiano stato militare, ma perché si occupano di reati militari commessi da militari, pur essendo equiparati ai magistrati ordinari; che l’osmosi con la giustizia ordinaria è determinata, a livello del giudizio di legittimità, dalla istituzione di una procura generale militare presso la Corte suprema di cassazione[33]. Ma, aggiungiamo, questo apparato di garanzie è stato ancora più rafforzato con l’istituzione, nel 1988, del Consiglio della magistratura militare, che è l’organo di autogoverno di questo ordine giudiziario[34]. E’ infatti il Consiglio e, notiamo incidentalmente, non il Ministro, che è competente a decidere in tema di promozioni, trasferimenti e sanzioni disciplinari dei magistrati militari[35]. E’ dunque pensando a queste caratteristiche così avanzate che abbiamo prima proposto ed ora proponiamo più motivatamente di riferirci alla specialità dei tribunali militari italiani come ad una specialità debole, che, cioè, sfuma, se già non si identifica, in una sorta di specializzazione non formalizzata.

Chiarito ciò circa la natura di questi tribunali, resta da chiedersi quale sia il loro ruolo nel contesto delle operazioni militari all’estero.

Abbiamo già citato l’art. 9 del codice di guerra, come esempio tipico di esportazione della legge di bandiera.

Precisiamo ora che, già nella sua originaria formulazione del 1941, questo articolo prevedeva l’applicabilità della legislazione di guerra ai corpi di spedizione all’estero, anche in tempo di pace.

Le leggi più recenti ne hanno modificato parzialmente la portata, adattandola alle attuali esigenze ma spianando la strada che conduce verso il medesimo obiettivo. Quale?

Ebbene, queste leggi, emanate a partire dal 2001, configurano, dopo sessanta anni dall’entrata in vigore dei codici penali militari, un primo nucleo di norme modificative pensate per le operazioni militari armate all’estero.

Come notavamo inizialmente, in tale quadro normativo, non si pongono rigidi confini tra codici comuni e militari, di pace e di guerra. Si tratta infatti di norme che si inseriscono tra codificazioni che si intrecciano, anzitutto, per effetto del principio di complementarità al quale sono ispirate.

Ciò nel senso che la legislazione comune è sempre presupposta come genus rispetto alla species penale militare.

Ma ecco il reticolato di intersezioni progressive che ne deriva: le fattispecie di reato applicabili sono dedotte dalla legislazione di guerra che, a sua volta, si pone in rapporto di complementarità rispetto alla legislazione di pace; le norme processuali e ordinamentali sono dedotte dalla legislazione di pace che è complementare rispetto a quella comune.

Bisogna aggiungere ancora qualche tassello al mosaico che stiamo delineando. Il primo: l’art. 47 del codice di guerra, nella più recente versione, ha legislativamente predeterminato le condizioni alle quali una serie rilevante di reati comuni viene attratta nell’area penale militare.

Si tratta di tipologie descritte analiticamente ma riconducibili comunque ad un quadro unitario governato dal principio di offensività, la cui applicazione in questo caso è normativamente finalizzata a tipizzare le situazioni in cui un reato comune deve considerarsi lesivo di un interesse militare.

L’ulteriore tassello essenziale per completare il mosaico ha natura processuale-ordinamentale. Ma vediamo quale. Da ciò che abbiamo detto finora deriva, in estrema sintesi, che, per i reati militari e per i reati comuni, in qualche modo militarizzati dall’art. 47 del codice di guerra, commessi da militari italiani operanti fuori area, sono competenti i giudici previsti dall’ordinamento giudiziario militare di pace, i quali applicano la procedura penale comune.

Ed ecco la regola derogatoria che modifica, ancora una volta, il quadro rendendolo più complesso e forse più funzionale.

Si tratta della competenza accentrata del tribunale militare di Roma[36] per tutte le tipologie di reato che abbiamo indicato a grandi linee. Con la precisazione, conclusiva sul punto, che se i soggetti attivi non sono militari italiani, la competenza è del tribunale ordinario omologo[37].

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