Legge e contratto oggi*
di Lucio Franzese

La novità, a ben vedere un ritorno all’antico [86] , si è talmente radicata nell’organizzazione amministrativa da reputarsi che lo spirito contrattuale sia antinomico con la persistenza della fonte legale nella disciplina della materia, rivendicandola alla competenza esclusiva degli agenti contrattuali. “Così come nel lavoro privato, in cui vi è una legislazione meramente promozionale, – afferma Sabino Cassese – anche nel lavoro pubblico deve essere l’autonomia collettiva a fondare la propria legittimazione ad intervenire per regolare le condizioni di lavoro” [87] . E quando il legislatore è intervenuto per stabilire che l’avvicendamento del Governo determina il sostanziale azzeramento della dirigenza pubblica, che muta per il mutamento delle forze politiche di maggioranza, l’amministrativista della Sapienza si è chiesto se “questa invasione legislativa nella sfera contrattuale sia legittima, oppure non rappresenti un intervento del Parlamento in un ambito riservato ormai all’autonomia privata, e, quindi, da regolare con contratto” [88] . A suo dire l’introduzione dello spoils system, sorto nel XIX secolo negli Stati Uniti d’America e adottato dal nostro Paese nelle forme da ultimo stabilite dalla legge n. 145 del 2002, contenente “Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato”, è estraneo alle esigenze della gestione amministrativa e risponde ad un disegno di dominio della politica sull’alta funzione pubblica.

Al fine di poter affrontare il problema del rapporto tra contratto di lavoro e legge sullo spoils system, la quale, pur intervenendo sul provvedimento di conferimento dell’incarico dirigenziale, finisce per riverberarsi sul vincolo contrattuale, occorre far riferimento alla figura del dirigente pubblico così come essa si è delineata per effetto di una serie di disposizioni normative, che parte dal decreto legislativo n. 93 del 1993 e arriva alla citata legge del 2002, passando per il decreto legislativo n. 80 del 1998 [89] . Questi atti hanno avuto il merito di distinguere, con sempre maggiore coerenza, la fisionomia del dirigente da quella dell’organo politico. Al funzionario pubblico, infatti, è riconosciuta l’esclusiva della gestione in attuazione delle direttive elaborate dai politici, ai quali competono la predeterminazione degli obiettivi e il controllo e la valutazione dell’azione dirigenziale, esercitata in vista del loro perseguimento [90] .

Alla luce del carattere strumentale dell’attività amministrativa, a chi scrive era apparso incongruo che la dirigenza non fosse stata unitariamente considerata ai fini della contrattualizzazione del suo rapporto di lavoro e, ancor più, che non fosse stata disposta la nomina fiduciaria di quanti sono responsabili dell’attuazione dell’indirizzo politico [91] . La prima anomalia è stata superata dal già citato decreto legislativo n. 80 del 1998, che ha esteso ai dirigenti generali la previsione del contratto come strumento di disciplina del loro rapporto di lavoro; alla seconda sembra oggi offra soluzione lo spoils system e in particolare la c.d. legge Frattini, che riconosce la rilevanza dell’ intuitu personae nel rapporto tra organi politici e dirigenti pubblici [92] .

Il provvedimento legislativo disciplina le modalità di assegnazione degli incarichi dirigenziali e la durata degli stessi. Stabilendo che ai fini del “conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, valutate anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del ministro” [93] , si è posto l’accento sull’affidamento nutrito dall’organo politico nei confronti delle abilità professionali dell’amministratore cui viene conferito l’ufficio dirigenziale. Tant’è che può essere sanzionato il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati ovvero la violazione delle direttive impartite non rinnovando il dirigente o revocandolo, fino a potergli risolvere il contratto di lavoro [94] .

Per quanto concerne la durata degli incarichi, la legge detta due serie di disposizioni: la prima avente carattere transitorio, la seconda permanente. Con la disciplina transitoria si è disposta la cessazione di tutti gli incarichi vigenti, prevedendo per i dirigenti non generali una conferma tacita qualora ad essi non sia stato assegnato un nuovo incarico nei novanta giorni dall’entrata in vigore della legge. A regime si prevede che gli incarichi apicali cessano dopo novanta giorni dall’insediamento del nuovo Governo, mentre tutti gli altri hanno durata predeterminata, che può andare fino a tre anni per i dirigenti di prima fascia e fino a cinque per quelli di seconda. Il conferimento avviene per atto unilaterale, cui accede un contratto con il quale le parti regolano gli aspetti economici dell’incarico. La posizione del dirigente è quindi individuata dal contratto di lavoro, in virtù del quale si instaura il rapporto di servizio con l’amministrazione, dall’atto di assegnazione dell’incarico dirigenziale e, infine, dal contratto che fissa il trattamento economico dell’ufficio attribuito.

Critico nei confronti del dirigente pubblico dello spoils system è, come si è anticipato, il Cassese, che nel nuovo regime individua la causa di effetti nefasti sulla vita del Paese. “Introdotto il metodo maggioritario, che si è innestato su un sistema parlamentare, si è rafforzato il continuum maggioranza elettorale-maggioranza parlamentare-governo. Con le nuove disposizioni sulla dirigenza, – osserva l’Autore – il continuum si estende alla pubblica amministrazione, rafforzando quella <tirannide della maggioranza> nei confronti della quale un’alta funzione pubblica neutrale avrebbe potuto funzionare da contrappeso” [95] .

Richiamerei l’attenzione sul termine neutrale, con cui viene designata l’auspicabile posizione della dirigenza verso i titolari della funzione di governo, laddove lo spoils system, nella versione adottata dalla legge italiana, consentirebbe la colonizzazione dell’alta funzione pubblica, impedendole di bilanciare il potere esercitato dalle forze governative.

Concepire la dirigenza come contrappeso all’indirizzo adottato dagli organi politici contrasta con l’ordine delle cose, il quale esclude che a livello amministrativo, ossia sul piano dell’organizzazione dei mezzi, ci si possa opporre a quanto deciso a livello di governo, di predeterminazione cioè degli obiettivi volti ad orientare la comunità verso il bene comune. Una dirigenza che neutralizza l’indirizzo espresso dal Governo, non provvedendo alla sua traduzione nelle necessarie scelte gestionali, mette in moto una reazione perversa, nel senso che l’organo politico cerca di bypassare le difficoltà frapposte dagli amministratori. E per far ciò o assume egli stesso i provvedimenti e, quindi, si ingerisce nell’attività gestionale, oppure crea un’amministrazione per così dire parallela, composta di nuovi uffici, di commissari straordinari per dare attuazione alle sue direttive, con l’effetto di far aumentare la spesa pubblica e, soprattutto, di esautorare l’amministrazione ordinaria.

A ben vedere, con il superamento della neutralità della dirigenza che, a differenza del passato, viene legata con il filo doppio al Governo, si è posto rimedio, per un verso, alla deriva di una funzione amministrativa acefala e irresponsabile, in quanto essa risponde al politico dei risultati raggiunti nella gestione del programma governativo, e per l’altro si fa sì che la funzione politica sia responsabile davanti all’elettorato dell’indirizzo impresso alla vita della comunità, così come della concreta attuazione avendo i poteri per nominare quanti reputi idonei ad esercitarla.

Per il Cassese la nuova configurazione della dirigenza arrecherebbe un vulnus alla Costituzione dove “la posizione complessiva del dipendente pubblico è regolata per sottrarla ai condizionamenti dei partiti (e dei governi). Precarizzare la dirigenza e rendere completamente discrezionale la scelta dei dirigenti comporta l’introduzione del criterio della fiducia nel rapporto ministro-dirigente, criterio che è estraneo, anzi contrario al disegno costituzionale” [96] . In realtà assumere come pietra di paragone uno soltanto dei modelli amministrativi presenti in Costituzione [97] , la quale sul punto è schizofrenica disciplinando l’amministrazione nell’ambito del governo e poi tentando in tutti i modi di sottrarla alla sua guida [98] , sembra essere una operazione discutibile. Del resto la Consulta ha salvato, fino a questo momento, la nuova dirigenza pubblica dalla diverse censure di incostituzionalità che sono state sollevate [99] .

La cessazione temporalmente predeterminata dell’ufficio di dirigente non sembra consentire una surrettizia riappropriazione della funzione gestionale da parte dell’organo politico, che in questo modo persevererebbe nell’amministrativizzazione della politica, riducendosi a gestire mezzi invece di elaborare prospettive di sviluppo per la comunità che lo ha chiamato a tale funzione. In particolare, la fissazione della durata degli incarichi, e quindi del rapporto tra ministro e funzionario, costituisce una modalità dell’impulso politico all’azione amministrativa, nel senso che nel momento in cui si predeterminano gli obiettivi cui essa è diretta si assegna anche il termine entro cui la realizzazione deve compiersi. Non a caso la legge stabilisce, come si è visto, che durata oggetto e obiettivi dell’incarico dirigenziale siano unilateralmente fissati in sede politica.

In questa prospettiva il rapporto che lega l’amministratore al politico è funzionale al raggiungimento degli obiettivi da questi indicati, in essi rinviene la sua causa. Non è concepibile, pertanto, un contratto dirigenziale che sopravviva alle direttive in forza delle quali era stato adottato. Si consideri infatti che nell’orientamento politico, con cui si individua il senso di marcia dell’intera comunità, ogni singolo, e quindi anche il dirigente pubblico sfiduciato, lungi dall’essere mortificato nella sua autonomia, trova la sua piena realizzazione personale, il suo proprium, non attingibile autenticamente se non in relazione con la polis di cui egli è parte indefettibile e sostanziale. Ne consegue che i titolari della funzione di governo dovranno rispondere elettoralmente dell’indirizzo esercitato, qualora esso si dimostri incapace di alimentare il benessere del consorzio politico.

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