Antonio Punzi, Aggiornamento della voce “Filosofia del Diritto”, VI Aggiornamento in “Enciclopedia del Diritto”
PRO
di Ugo Pagallo

Scarica l’articolo >

 

Dal VI aggiornamento della voce "filosofia del diritto" nella Enciclopedia del diritto, a cura di Antonio Punzi, emerge una brillante ed agile ricostruzione del dibattito giusfilosofico (non soltanto italiano) occorso negli ultimi trent’anni del secolo ventesimo. Muovendo dalla ben nota querelle kelseniana tra Bobbio e Capograssi, Punzi passa in rassegna il processo di revisione interna al positivismo giuridico, le ragioni del venir meno della contrapposizione tra normativismo ed istituzionalismo, tra kelsenismo e realismo, la Rehabilitierung der praktischen Vernunft, il linguistic turn e l’ermeneutica "assurta a vera e propria koiné dell’epoca", fino alla categoria di Anerkennung "liberata dal giogo hegeliano e restituita all’orizzonte della filosofia pratica kantiana".
Resistendo alle lusinghe di una semplice panoramica descrittiva, peraltro stigmatizzata sul piano teoretico, Punzi propone una ricostruzione storiografica che fa leva, in definitiva, su quattro asserti principali:1. Per lungo tempo, "a partire dagli anni ’50", la filosofia del diritto (in Italia) si snoda "attraverso due direzioni fondamentali" (pag. 1163); vale a dire, da un lato, una "filosofia del diritto per i giuristi" di matrice neopositivista, prima, ed accentuatamente analitica, poi; d’altro canto, una "filosofia del diritto per i filosofi" proiettata "in continuità con i ‘classici’ del pensiero, ma anche in dialogo con alcune voci della filosofia più recente, verso un’interrogazione radicale sul senso e sul valore del diritto per la concreta esperienza dell’uomo" (ib.);
2. Questa divisione, tuttavia, "sembra aver perso gran parte del suo credito" (ib.). Ciò dipenderebbe dalla "crisi d’identità" che affligge lo stesso "filosofare" contemporaneo, traducendosi, ora, nella sfiducia sulle capacità di offrire una via privilegiata, per non dire esclusiva, a "i problemi dell’uomo"; ora, nelle derive estetiche, esoteriche o, apertamente, nichiliste, frutto dell’imperversare di pensieri "deboli";
3. Un’ulteriore ragione dell’indebolimento che ha colpito la "grande divisione" tra la "filosofia del diritto per i giuristi" e la "filosofia del diritto per i filosofi", va ricercata nelle radicali trasformazioni in atto. Dalla crisi del paradigma imperniato sul principio di sovranità ai processi della globalizzazione, alle nuove frontiere tecnologiche dell’ordinamento, dall’info-diritto al bio-diritto, nascono "sfide difficili, che potranno essere fronteggiate solo mettendo al bando tanto le false modestie logiche, che nascondono presunzioni di verità, quanto le spericolate divagazioni speculative, lontanissime dall’autentica ‘modestia’ dell’esperienza individuale e sociale" (pag. 1173);
4. Infine, dall’intreccio tra teoria e praxis che ha decretato la fine (se non lo stesso fine) di antichi irrigidimenti, risorge, teoreticamente ineludibile, la "questione della verità". "Il nostro tempo – conclude infatti la voce – sembra voler tornare a ragionare in termini di verità. Senza dogmatiche pretese di possederla. Senza dogmatiche pretese che non esista" (pagg. 1173-1174).In rapporto a questi quattro punti principali, proviamo a chiarire le ragioni del "pro". Anche ad ammettere, in effetti, curiose lacune storiografiche (ad esempio, nel ricordare, a pag. 1171, alcuni pregevoli contributi su "i più significativi attori del pensiero moderno", Punzi prosegue un’ormai lunga tradizione, omettendo il nome di chi, spesso, è ritenuto addirittura il buccinator della scienza moderna: who’s afraid of Francis Bacon?); non di meno, risulta più interessante insistere sul versante teoretico dell’indagine. Come suggerito nel "contra" della rubrica, non si corre forse il rischio che una contingente divisione tra scuole, tra la "filosofia del diritto per i giuristi" e la "filosofia del diritto per i filosofi", sia elevata a dignità teoretica (con il conseguente "ritorno della filosofia del diritto alla filosofia" come cifra del panorama giusfilosofico contemporaneo: cfr. pag. 1171)?
In realtà, non si tratta, a mio avviso, di passare semplicemente da una posizione (temeraria) che pretende d’insegnare ai giuristi il proprio mestiere, a una cifra, eguale e contraria, per cui, ancora una volta, sorgerebbe la domanda sulla legittimità della presenza di filosofi (sia pure del diritto) in una facoltà di giurisprudenza. Infatti, se "va preso sul serio l’invito analitico al rigore del ragionamento, all’uso avvertito degli strumenti linguistici, alla scomposizione logica dei problemi come propedeutica alla loro trattazione" (pag. 1173), tuttavia, avverte pur sempre Punzi, "a questa consapevolezza metodologica si dovrà affiancare il coraggio di un’interrogazione animata da vigore teoretico e da disponibilità al dialogo con i ‘classici’, capace di affrontare le più delicate questioni che nascono dal cuore della recente esperienza giuridica" (ib., corsivi ns.).
Di fronte alle "sfide difficili" che attendono la filosofia del diritto all’alba del XXI secolo, non mi sembra che, nemmeno a giudizio di Punzi, il conclamato "ritorno della filosofia del diritto alla filosofia" significhi, di fatto, il venir meno di vecchie scuole di filosofi pronti a insegnare il mestiere ai giuristi, ragionando come se il modello fisico-matematico del sapere (strumentale ed ipotetico-deduttivo) della scienza (moderna) fosse la via sine qua non per la conoscenza "razionale" dell’uomo. In fondo, a ben vedere, il permanere fattuale di "filosofie del diritto per giuristi" è confermato dal rovescio della medaglia; ossia, da giuristi, anche invitati come relatori a convegni della Società di filosofia del diritto, che pretendono allegramente d’insegnare la filosofia ai filosofi.
Il "ritorno" cui fa riferimento Punzi come "questione della verità" – nel senso acclarato della "filosofia del diritto alla filosofia" -, comporta pertanto un’esigenza teoretica. Non si tratta infatti di essere filosofi con i giuristi o giuristi con i filosofi. L’intreccio di teoria e prassi che ritroviamo alle radici dell’ordinamento (giuridico, politico, economico) sta piuttosto a ricordare una pagina iniziale del Digesto che gli studenti di filosofia del diritto, del resto, trovano ancora all’ingresso del loro dipartimento nella facoltà di Giurisprudenza in Padova. La condizione affinché i giuristi svolgano autenticamente il loro mestiere (anche come filosofi del diritto) è che essi siano "veram, nisi fallor, philosophiam affectantes".