TEMI E PROBLEMI DI SCIENZA GIURIDICA
Il dibattito in Italia prima della nascita della scuola analitica di Torino
di Federico Casa

[209] N. Bobbio, Teoria generale del diritto come teoria del rapporto giuridico (1952), in “Studi sulla teoria generale”, cit., pp. 53, 55-56.

[210] Sul punto bene P. Piovani, La filosofia del diritto come scienza filosofica, Milano, 1963, il quale evidenziava come fosse “gravemente dannosa” quella teoria generale del diritto che dimenticasse “che ogni teoria generale del diritto riguarda un dato diritto positivo, in quell’esperienza concreta che è la sua storicizzata positivizzazione”.

[211] N. Bobbio, Francesco Carnelutti teorico generale del diritto (1949), in “Studi sulla teoria generale”, cit., p. 7.

[212] Cfr. W. Cesarini Sforza, Lezioni di teoria generale del diritto, II ed. Padova, 1930.

[213] Cfr. A Levi, Teoria generale del diritto, Padova, 1950, nuova stesura di un’opera già apparsa nel 1934 con il titolo Istituzioni di teoria generale del diritto.

[214] Nella prima edizione del 1940 Carnelutti propugnava l’utilità di una introduzione pregiuridica, che consisteva nel chiarire stabilire il senso che si sarebbe attribuito ai termini utilizzati nella successiva trattazione: forma, spazio, tempo, oggetto. L’intento era quello di definire una volta per tutte alcuni concetti fondamentali, non solo della giurisprudenza ma di ogni scienza. Secondo lo schema adottato dal Carnelutti, l’ordinamento giuridico di uno stato moderno sarebbe consistito di tre elementi fondamentali: i “comandi giuridici”, cioè l’aspetto formale del diritto, le “situazioni giuridiche”, l’aspetto spaziale del diritto, e i “fatti giuridici”, l’aspetto temporale. Se il fine del diritto era quello di “ridurre l’etica all’economia”, l’esperienza giuridica veniva definita come un’etica artificialmente imposta, in cui la congiunzione del precetto con la sanzione rappresentavano la legge giuridica, e il diritto come “una catena di comandi che non ha fine”, in cui al carattere dell’imperatività e della intersoggettività si accompagnava quello della statualità: “se lo Stato è la società in quanto pone il diritto, lo Stato non è in questo senso soggetto di diritto”, dato che “lo Stato non è nel conflitto ma sopra il conflitto”. La pluralità interna degli ordinamenti avrebbe fondato la pluralità delle fonte del diritto; la statualità del diritto era anche la ragione della esclusione della giuridicità alla consuetudine, al diritto internazionale e al diritto canonico. Nella seconda edizione del 1946 non vi erano mutamenti rilevanti quanto al contenuto, ma veniva formulata una distinzione più precisa tra la “funzione” del diritto, entro cui trovava il proprio svolgimento la teoria dei “comandi”, e la “struttura” del diritto, che comprendeva tanto la dottrina delle situazione che quella dei fatti. Nella terza edizione del 1951 i mutamenti erano a tal punto notevoli da capovolgere i fondamenti sui quali poggiavano le precedenti edizioni; la categoria della “statualità” veniva limitata al diritto positivo, rimanendo fuori dallo Stato tutto l’ambito del diritto naturale. La giustizia diveniva “conformità all’ordine dell’universo”, ovvero all’ordine etico. In Carnelutti l’istanza giusnaturalistica era attitudine ad attribuire una qualità all’azione, non di costringervi la volontà con la minaccia della sanzione. Ora se il precetto assumeva un significato etico, in quanto proposizione di diritto naturale, solo la sanzione si presentava come elemento caratteristico del diritto positivo, con la conseguenza che la teoria imperativistica diveniva teoria della sanzione; ridotto il comndo ad azione, tutta l’attenzione si riversava sul precetto, sull’attività di ritrovamento del precetto, sulle fonti giuridiche. L’attenzione rivolta alla socialità spingeva Carnelutti a ritenere che non ci sarebbe stato diritto possibile, se i consociati non avrebbero consentito ad obbedire. La “struttura” del diritto diveniva una combinazione di comandi e di obbedienze: il diritto è regola vissuta di condotta sociale.

[215] Cfr. op. cit., p. 12, in cui il filosofo piemontese rimproverava “al Carnelutti di averci fatto conoscere le sue idee filosofiche in una teoria generale del diritto”, anche considerato che il “concetto di funzione del diritto è anche di per se stesso poco idoneo a servire da categoria generale sotto cui si possano assumere problemi fondamentali della teoria generale”.

[216] Op. cit., p. 8.

[217] Non ci pare di poter condividere fino in fondo quanto affermava N. Bobbio Filosofia del diritto e teoria generale del diritto, cit., p. 27, con riferimento alla trattazione dei rapporti tra filosofia del diritto e teoria generale del diritto, poiché era pur vero che tale tematica era ampiamente dibattuta dalla scuola positivista, che aveva ritenuto di ridurre la filosofia del diritto alla teoria generale, ma è altrettanto vero che ci sembra eccessivo ritenere che si sarebbe trattato di “un problema di scuola su cui si esercitavano di solito i filosofi del diritto esordienti”.

[218] Op cit., p. 36.

[219] F. Gentile, Filosofia e scienza in “Pubblicazioni dell’Accademia militare di Modena”, 1988, p. 66.

[220] Cfr. Bartolomei, Le ragioni della giurisprudenza pura, 1912; e Di Carlo, Teoria pura e teoria empirica del diritto, in “Saggi critici di filosofia del diritto”, I, 1913; nelle quali opere veniva proposta la tesi di una giurisprudenza pura, intesa come scienza universale ed astratta.

[221] N. Bobbio, Scienza e tecnica del diritto, cit., p. 13. Cfr., inoltre, p. 17, in cui il concetto veniva evidenziato ancora più chiaramente: “si tratta dunque di stabilire una volta per sempre che disputare sulla scientificità della scienza giuridica non si può, fino a che non si abbia di mira altro che la sua funzione pratica ovvero il suo carattere puramente tecnico: solo su fondamenti gnoseologici si può discutere il problema, essenzialmente gnoseologico, intorno alla teoreticità della giurisprudenza”.

[222] Cfr. F. Carnelutti, Arte del diritto,

[223] G. Capograssi, Il problema della scienza del diritto, cit., p. 34.

[224] Op. cit., pp. 5, 11.

[225] R. Stammler, Rechtswissenschaft, II ed., 1923, p. 245.

[226] Il pensiero non può non correre alla collana L’Ircocervo. Saggi per una storia filosofica del pensiero giuridico contemporaneo, a cura di Francesco Gentile.

[227] Il tema è anche implicitamente suggerito da V. Frosini, Filosofia e scienza, in “Atti del II Congresso Nazionale di Filosofia del diritto”, cit., p. 147.

[228] Emblematico, a tal proposito, L. Caiani, La filosofia, cit., p. 90, in cui, con riferimento all’opera “filosofica” di Francesco Carnelutti, il professore padovano riteneva che “gli sviluppi più interessanti e più ricchi di prospettive di questa esigenza di fondo che anima la visione complessiva dell’esperienza giuridica del Carnelutti” dovevano essere ricercati nel “problema dei rapporti tra scienza del diritto e filosofia, o meglio, il problema della funzione della filosofia nell’ambito del lavoro del giurista”. Criteri di analisi che si ritrovano, seppure in maniera meno marcata, anche nell’analisi del pensiero di Tullio Ascarelli e di Emilio Betti, ma che ritornano decisamente quando l’Autore afferma che è proprio la “filosofia” che siamo andati ricercando all’interno dell’esperienza dei giuristi, [che] si è venuta appunto configurando sempre più come ricerca della progressiva consapevolezza che i giuristi vengono acquistando nello stesso svolgimento del oro lavoro” (p. 204).

[229] G. Solari, L’idea individuale el’idea sociale nel diritto privato, Torino, 1911, e nuovamente pubblicato con il titolo Individualismo e diritto privato, Torino, 1959, al quale si farà riferimento in questa trattazione.

[230] G. Solari, Storicismo e diritto privato, Torino, 1940, pur trattandosi di un saggio già ultimato negli anni 1915-1916.

[231] G. Solari, Individualismo, cit., p. 333.

[232] Op. cit., p. 335 e 336, in cui l’Autore affermava che “mentre il Codice prussiano risentiva delle dottrine giuridiche dell’Illuminismo elaborate dalla scuola del Wolff, il Codice francese fi attuato in un periodo storico in cui la tradizione liberale del Locke e quella naturalistica dei Fisiocrati aveva riacquistato il sopravvento sopra le dottrine assolutistiche e democratiche del Rousseau […]. L’individualismo giuridico nella forma liberale espressa dal Codice francese […] finì per prevalere, ma prevalendo rifece le sue basi filosofiche sotto l’influenza del criticismo kantiano e dell’utilitarismo del Bentham”.

[233] Op cit., p. 338-339.

[234] Op. cit., pp. 341,342.

[235] Il saggio analizzava i rapporti tra l’esigenza filosofica del diritto privato e il pensiero di Autori come Thibaut, Heise, Savigny, Schelling, Fichte e Puchta.

[236] G. Solari, Storicismo, cit., pp. 285, 287

[237] Op. cit., p. 299.

[238] Op. cit., p. 300.

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