Il concetto di “persona” nella legge “Sulla Privacy”.
di Federico Costantini

In realtà le osservazioni appena compiute non esplicitano quella che è la vera contraddizione di fondo di questa impostazione: il fatto di voler tutelare la volontà di un soggetto che non esiste più come individuo; difendere la libertà e perderne il titolare. Infatti, presupponendo che il soggetto essenzialmente non possa mai “essere solo”, coerentemente con le premesse individualistiche, occorre negarne la stessa sussistenza. Mentre, ammettendone l’esistenza pur in un contesto di “condivisione”, si giunge a definirlo come “centro di controllo”[77] delle informazioni, e, con questo, a uscire dall’individualismo.

La “autodeterminazione informatica”[78], riducendosi da tensione di “affermazione” a sforzo di “negazione della esclusività altrui”, assume il significato di tentativo infruttuoso di preservare ciò che di più caro rimane: il feticcio di una libera volontà. Non potendo “affermare se stesso”, il soggetto non può fare altro che “limitare gli influssi esterni”, non eliminandoli, ma riducendone la portata e la consistenza a un accettabile livello, modalità, procedura.

La tutela della privacy, intesa come ab origine, attuale sfera intangibile di intimità del soggetto, in base a queste considerazioni ha compiuto una traiettoria che potrebbe disegnarsi, contrariamente alle retoriche affermazioni sull’avvenuto riconoscimento del “diritto alla riservatezza”, come una parabola discendente: nel momento di sua maggior celebrazione, coincidente con ben due Direttive europee, la legge 675/1996 e la istituzione del Garante, si celebra anche l’inizio della sua decadenza, nel suo oggetto (la “libertà”, più che la “intimità”), nella diversa natura (“relatività” soggettiva e oggettiva, più che “assolutezza”), nella sua forma (“negativa”, più che “positiva”).