DALL’AUTONOMIA RADICALE ALL’AUTONOMIA ASSOLUTA.
ANNOTAZIONI CRITICHE SUL DISCORSO DELL’ISTITUZIONE
DI CORNELIUS CASTORIADIS
di Ferdinando G. Menga
Eberhard Karls Universität – Tübingen

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Abstract

In this essay Menga deals with the theme of democracy and autonomy in the thought of C. Castoriadis. According to Castoriadis democracy and autonomy are strictly connected. In fact he defines democracy as «the power of the community to institute by itself its fundamental laws», making of direct democracy the ideal model of each democratic system. Leading from this definition Menga tries to show the strong and weak points of Castoriadis’ conception.

 

 

1. Contingenza, autonomia, democrazia: i caratteri costitutivi dell’istituzione sociale-storica

Uno dei punti di maggiore rilevanza e fecondità della riflessione filosofico-politica di Cornelius Castoriadis, che ci proponiamo di presentare e discutere nello spazio di queste pagine, è senz’altro rappresentato da quel suo discorso che, traendo le radicali conseguenze da una delle linee fondamentali dell’impianto della modernità, collega inscindibilmente il costitutivo carattere sociale-storico e, dunque, contingente di ogni istituzione umana alla sua necessaria strutturazione in termini democratici. Se ricordiamo, infatti, che “modernità” rileva anzitutto la tradizione inaugurata dalla dismissione della supremazia di un principio trascendente a governo e legittimazione di ogni ordine del mondo, [1] non risulta difficile comprendere il motivo per cui Castoriadis, proprio criticando ogni impianto di totalità sociale ontologicamente fondato, ne deduce il fatto che ogni collettività, procedendo dall’impossibilità di assurgere a una fonte inconcussa che la predetermini e diriga, si veda costretta a costituirsi e a costituire il suo mondo democraticamente, ossia esclusivamente in virtù di un potere d’autodeterminazione comunitaria. Come direbbe a proposito Ernst-Wolfgang Böckenförde, è nel momento in cui «non [è] più un ordine divino del mondo e della natura [a] determina[re] il fondamento e la coesione prestabilita dell’ordine politico-sociale [che] gli uomini di volontà propria e per propria decisione sovrana prendono in mano il loro destino e lo stesso ordine del mondo». [2]
Da parte della riflessione di Castoriadis, questa dimensione democratica dello spazio politico, quale conseguente risvolto della sua storicità e contingenza, si traduce più puntualmente nella congiunzione di due tratti costitutivi della società: il carattere autoistituito e il carattere dell’autonomia.
La dinamica di autoistituzione della società rimanda a una connotazione democratica dello spazio politico, in quanto l’autoistituzione altro non implica se non che la società, non ottenendo il potere d’istituire se stessa e il suo mondo da un’istanza ad essa trascendente, lo deve ricavare esclusivamente dando fondo alle proprie risorse, vale a dire all’articolazione stessa del potere che si realizza nell’interazione collettiva. In tal senso, la società autoistituita è democratica nell’accezione più originaria e genuina del termine, ovvero nel senso per cui «democrazia» non significa altro che «potere del demos, cioè della collettività […] che si autoistituisce esplicitamente». [3] Ha pertanto ragione Fabio Ciaramelli nell’avvertire che, nel pensiero di Castoriadis, la democrazia si mostra essere «forma politica originaria dell’istituzione del sociale», [4] in quanto essa implica primariamente quell’«attività collettiva avente per oggetto e per posta in gioco l’assetto globale dell’istituzione della società». [5]
A questo carattere eminentemente democratico insito nella dimensione autoistituente della società, Castoriadis collega immediatamente l’altra componente: quella dell’autonomia. La logica sottesa a questo collegamento non è difficile da cogliere, poiché se democrazia significa fondamentalmente autoistituzione della società, nel senso di potere della società di istituire se stessa a partire da se stessa, allora essa implica altrettanto un carattere d’autonomia, ovvero di potere della società di darsi da sé le proprie leggi. Ricorrendo a un’espressione lapidaria dello stesso Castoriadis, si può perciò affermare complessivamente: non essendoci «una fonte extra-sociale del nomos, dobbiamo fare noi il nostro nomos». [6]
Certamente, siffatte istanze dell’autoistituzione e dell’autonomia, in cui si traduce per Castoriadis la configurazione democratica dello spazio politico, non devono essere prese tout court, bensì interpretate sempre alla luce dell’incidenza dei caratteri di storicità e contingenza, dai quali esse emergono. Questa annotazione è di estrema importanza, poiché, se si omette di contestualizzarle nel quadro offerto dai suddetti caratteri, l’autoistituzione e l’autonomia rischiano di essere caricate di un tratto di assolutezza autoreferenziale, per nulla corrispondente all’impostazione che ha in mente Castoriadis. Viceversa, tenendole costantemente collegate alle componenti della storicità e della contingenza, esse vengono ad assumere rispettivamente le seguenti connotazioni: l’autoistituzione significa sì istituzione della società a partire da se stessa, tuttavia, non sulla base di un autopossesso o autotrasparenza assoluti, bensì, proprio al contrario, come istituzione sempre parziale e alterante, conseguenza del fatto stesso che quest’ultima manca di un principio inconcusso e trascendente a cui conformarsi e che, dunque, la possa configurare una volta per tutte. Vale altrettanto per l’autonomia, la quale non significa affatto che la società si dà le proprie leggi nei termini di un’espressione di potere assoluto e arbitrario su di sé. Al contrario, implica che la società, proprio perché sprovvista di leggi derivanti da un principio sostanziale ad essa soggiacente, è ingiunta a produrle. Vale a dire, la società, dovendosi dare quelle leggi che la de-finiscono, in fondo, nel suo regime di autonomia, più che assolutizzarsi, è già sempre immessa in una dinamica di de-limitazione. Ecco perché, per Castoriadis, il discorso democratico, in quanto espressione di autonomia, è anche e immancabilmente espressione di «tragica» autolimitazione. In un passo alquanto articolato, leggiamo: «la democrazia è il potere del demos, cioè della collettività. Sorge subito una domanda: dove finisce questo potere? Quali sono i suoi limiti? È chiaro che tale potere deve finire da qualche parte, deve comportare dei limiti. Ma è altrettanto chiaro che, a partire dal momento in cui la società non accetta più alcuna norma trascendente o semplicemente ereditata, non c’è nulla che intrinsecamente possa fissare i limiti oltre i quali il potere deve fermarsi. Ne consegue che la democrazia è essenzialmente il regime dell’autolimitazione». [7]
Effettuate queste osservazioni preliminari, la considerazione successiva che occorre svolgere, a partire dall’intento castoriadisiano di localizzare il carattere originariamente democratico dello spazio politico nel potere autoistituente della collettività, concerne la traduzione di questo potere collettivo nei termini di un «potere effettivamente esercitato dalla collettività». [8] Detto in modo semplice: se democrazia significa, in senso radicale, potere della collettività di istituire, a partire da sé, l’assetto dei propri significati e delle proprie leggi fondamentali, ciò vuol dire contemporaneamente che la democrazia è davvero democrazia e, parimenti, il potere della collettività è realmente tale, solo se la collettività riesce a esprimersi nella sua interezza; vale a dire, solo se «tutti» gli individui, che ne fanno parte, accedono in «egual misura» a tale potere. [9] Ecco dunque in che modo nel discorso di Castoriadis, dall’istanza stessa di autoistituzione dello spazio politico a partire dalla collettività, discendono direttamente due implicazioni: la necessaria condizione di uguaglianza degli individui e la dimensione compartecipata ed orizzontale del potere che si radica attorno a siffatta condizione. Come esprime lo stesso autore, si tratta del fatto che democrazia, in fondo, significa e deve significare «uguale possibilità per tutti, effettiva e non teorica, di partecipare al potere». [10]
Sennonché, come si intuisce, proprio sulla base di queste premesse, in seno al discorso di Castoriadis si pone con urgenza un interrogativo circa il tipo di configurazione democratica che prende il sopravvento in forza di questa nozione di potere pienamente orizzontale e compartecipato. Ebbene, al riguardo, a nostro avviso, in Castoriadis le cose stanno in modo piuttosto chiaro: la tendenza all’esaltazione del carattere compartecipato del potere si traduce nella propensione per una articolazione dell’autonomia sociale nei termini di democrazia diretta. Detto altrimenti: per Castoriadis, una società è veramente autonoma solo nella misura in cui esprime la propria dinamica del potere attraverso la democrazia diretta.
Il coglimento di una tale inclinazione per la forma diretta di democrazia nelle pagine del pensatore greco-francese non necessita di grandi sforzi interpretativi, in quanto essa è sostenuta in modo sempre esplicito e deciso. Non per altro, proprio a completamento di una delle sue riflessioni attorno a quella configurazione veramente democratica, che auspica e vede realizzata nel modello politico ateniese del IV secolo a.C., Castoriadis non manca di affermare: «Questa è la democrazia diretta». [11] Esplicitazione ulteriore di questa predilezione per la democrazia diretta la si ritrova poi meglio dispiegata nel paragrafo successivo alla citazione appena riportata, in cui, non a caso, il rinvio castoriadisiano è a Hannah Arendt e al suo richiamo alle forme di partecipazione immediata della collettività, quali espressioni di democrazia originaria e radicale. Le sue parole, al riguardo, non hanno bisogno di commento: «Ogni volta che nella storia moderna, una collettività politica è entrata in un processo di autocostituzione e di autoattività radicali, la democrazia diretta è stata riscoperta o reinventata: consigli comunali (town meetings) durante la Rivoluzione americana, sections durante la Rivoluzione francese, Comune di Parigi, Consigli operai o soviet nella loro forma iniziale. Hannah Arendt ha insistito molte volte sull’importanza di queste forme. In tutti questi casi, il corpo sovrano è la totalità delle persone interessate». [12]

 

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