SOVRANITÀ, DEMOCRAZIA, EUROPA.
RIFLESSIONI A PARTIRE DA GIUSEPPE CAPOGRASSI [1]
di Stefano Biancu
Université de Lausanne

Scarica l’articolo >


Abstract

In this essay Biancu deals with the themes of sovereignty and democracy starting from the lesson of Giuseppe Capograssi. The Author approaches three thesis of Capograssi: 1) in democracy the sovereignty belongs to people, but it is “rich of prerequisites”; 2) the most important prerequisite of sovereignty (and democracy) is the “maturity” of people; 3) the State represents an important element of “practical experience”. According to Biancu, the lesson of Capograssi is still useful today.


Il principio di sovranità si afferma, all’alba dell’età moderna, con la nascita dei grandi stati nazionali e con il declino dell’idea – romana e poi medievale – di un ordinamento giuridico universale. Secondo Hobbes e i grandi teorici moderni della politica, il principio di sovranità costituisce il superamento dello stato di natura all’interno degli Stati, ma viene anche a coincidere con l’instaurazione di uno stato di natura (e sostanzialmente di guerra) all’esterno dello Stato: tra gli Stati.
Occorre riconoscerlo: oggi di questa impostazione teorica classica rimane ben poco. All’interno degli Stati essa è limitata dal principio di legalità, dalla divisione dei poteri e dall’affermazione dei diritti fondamentali; all’esterno essa trova un limite insuperabile negli ordinamenti giuridici internazionali nati in seguito all’esperienza tragica della seconda guerra mondiale con la Carta dell’ONU del 1945 e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. [2]
Eppure, nonostante questi significativi correttivi, il principio di sovranità fa ancora problema, sia per difetto che per eccesso, in Europa e oltre l’Europa: richiede dunque attenzione e riflessione.
In queste pagine mi propongo di presentare alcuni pensieri in proposito, e di farlo a partire dal contributo di un pensatore di eccezione, che ha iniziato a occuparsi del problema quasi un secolo fa: ovvero Giuseppe Capograssi. [3] Questo dovrebbe anche servire a relativizzare la diffusa sensazione di crisi del presente, come se oggi non andasse più da sé – e domandasse dunque un surplus di riflessione critica – ciò che nel passato funzionava invece molto bene: è chiaro che le cose non stanno affatto così. Presenterò dunque tre tesi di questo pensatore, per poi ricavarne alcune riflessioni intorno al problema attuale della sovranità in rapporto alla democrazia e alle difficoltà che il progetto europeo sembra oggi incontrare.

 

Sovranità e democrazia secondo Giuseppe Capograssi

Le tesi di Capograssi sulle quali mi concentrerò furono originariamente elaborate tra il 1918 e il 1921, ma da lui continuamente riprese fin quasi alla fine dei suoi giorni: anche quando – nell’immediato dopoguerra – in Italia si discute di come ricostruire il Paese sulle macerie lasciate dal fascismo e dal conflitto.
Delle tre tesi che intendo qui presentare, le prime due hanno a che fare con i “presupposti” della sovranità; la terza riguarda invece più da vicino la natura essenziale dello Stato.
La prima tesi dunque: Capograssi è convinto che in democrazia la sovranità appartenga certamente al popolo, ma come qualcosa che rimane finalmente indisponibile. Non dunque come possibilità vuota di esercizio di una volontà slegata da qualsiasi presupposto previo, ma piuttosto come una libertà ed una volontà ricche di presupposti.
Nel 1918, nelle pagine del Saggio sullo Stato, [4] Capograssi espone la posizione tradizionale delle grandi teoriche sullo Stato (la posizione della «scienza», che egli definisce, con termine vichiano certo non neutrale, «filosofia degli addottrinati»): uno Stato sarebbe, dal punto di vista materiale, un «ente» formato «da un popolo e da un territorio», [5] dove per «popolo» si deve intendere l’insieme degli esseri umani presenti su un territorio, non però come semplicemente «coesistenti» nel medesimo spazio, ma – ben più profondamente – come «conviventi» in un medesimo spirito. [6]
Questo, dunque, per quanto riguarda la considerazione scientifica classica della materia dello Stato. Alla domanda intorno alla forma di uno Stato la scienza avrebbe poi tradizionalmente risposto – secondo Capograssi – formulando il concetto di «sovranità», di «imperio»: lo Stato sarebbe cioè, quanto alla sua «forma essenziale», «potestà assoluta di volere», volere «incondizionato ed illimitato». [7] In questo modo, lo Stato non sarebbe più considerato dalla scienza come un semplice «ente», ma come uno «Stato-persona»: una conclusione tradizionale che, secondo Capograssi, rappresenta un risultato importante, che egli definisce una «suprema astrazione» e una «perfetta costruzione». [8]
Un risultato al quale non ci si può però fermare. Se infatti – a suo giudizio – le teoriche del diritto e della politica hanno visto giusto nel riconoscere nella «sovranità» l’essenza formale dello Stato, questo riconoscimento non è però ancora sufficiente a dire l’essenziale. Esso lascia infatti ancora del tutto inevasa la vera questione, che consiste nell’individuare il detentore di questa sovranità: ovvero chi sia «il Sovrano». [9]
Qui il discorso di Capograssi si fa piuttosto interessante: a suo parere, infatti, la sovranità non può essere considerata una superiorità puramente formale: un potere «vuoto». Al contrario, essa deve essere considerata un potere «pieno»: una volontà che è certamente superiore alle singole volontà individuali, ma che lo è «appunto per il suo contenuto». [10] La sovranità – secondo Capograssi – non può cioè essere arbitrio, ma deve essere rappresentanza «dei costumi e delle idee del popolo», il quale è dunque il vero sovrano, in quanto «crea» il diritto ritrovandolo in se stesso:
nella verità di se stesso. La sovranità è insomma la stessa realtà storica in quanto «avverata nella sua sostanza, ritrovata nella vera attualità della sua natura e dei suoi principi». [11] Tutto questo rende dunque lo Stato il luogo in cui la verità di una data realtà storica viene a espressione e diventa norma.
Ora, accade però – secondo Capograssi – che nello Stato moderno questa idea di sovranità come un pieno di contenuto si perda irrimediabilmente. L’unico «scopo» che lo Stato ben presto si assegna diventa infatti quello di preservare la «libertà dell’individuo», dando così origine a una nozione di libertà fino a quel momento sconosciuta: ovvero una libertà intesa come «la possibilità garentita di vivere la propria vita sensibile a tutto suo agio, e poi la vuota possibilità di pensare il vero o il falso, il bene o il male, di pensare o di non pensare, di credere o di non credere». [12] Sia chiaro: Capograssi non contesta che una piena libertà di coscienza e di autodeterminazione debba essere garantita dalle leggi dello Stato. Che lo Stato, insomma, debba essere neutrale e laico. Egli contesta piuttosto che una libertà intesa come possibilità vuota e come radicale indifferenza verso le «più alte esigenze dello spirito» possa essere legittimamente posta come «ideale dello Stato». [13] A suo parere la legge deve certamente garantire una libertà di coscienza totale, ma questa libertà non può essere per principio fine a se stessa: deve essere funzionale ad altro. La crisi dello Stato moderno consiste così – secondo Capograssi – nell’aver posto come valore supremo e insuperabile ciò che doveva essere piuttosto considerato come mezzo (giuridico e politico) in vista di altro.
Ora, da questa trasformazione e involuzione dell’idea di libertà, deriva – e qui il discorso si fa ancora una volta di grande interesse – una involuzione dell’idea di sovranità, la quale conseguentemente «si spoglia anch’essa di ogni contenuto» e si riduce «a numero». Il risultato, secondo Capograssi, è che, in mancanza di ogni contenuto di valore, lo Stato si riduce a un «pulviscolo di individui» [14] e di egoismi contrapposti. La sovranità deve dunque essere legata a dei contenuti, i quali sono finalmente indisponibili: e lo sono non perché appartengano ad un astratto e iperuranico mondo dei principî, ma perché sono iscritti nell’esistenza reale del popolo: nei suoi costumi e nelle sue idee.
Quanto detto consente di passare agevolmente alla seconda tesi: se la sovranità appartiene al popolo non come arbitrio assoluto ma come esercizio di una volontà ed una libertà legate ad alcuni presupposti essenziali, è evidente che l’esercizio della sovranità postula e implica la capacità, da parte del popolo, di riconoscere tali presupposti, di portarli a parola e di esprimerli, traducendoli in norme. L’esercizio della sovranità domanda cioè una maturità del popolo. Detto altrimenti: in democrazia la sovranità si fonda sul presupposto inaggirabile di individualità piene e mature.
Nel 1921, tre anni dopo il Saggio sullo Stato e quando in Italia la crisi dello Stato liberale è già scoppiata in tutta la sua virulenza e le condizioni sociali e politiche favorevoli all’avvento del fascismo sono ormai mature, Capograssi pubblica le Riflessioni sull’autorità e la sua crisi. [15] In questo libro straordinario (destinato a diventare un classico nel corso degli anni), Capograssi individua «l’intimo nucleo il nucleo quasi religioso della democrazia» nella «esigenza fondamentale e finora inappagata di un’educazione della volontà individuale». [16] La forma democratica di Stato e di governo si regge insomma soltanto se essa è applicata a individui pienamente liberi e, dunque, pienamente umani. Qui sta infatti, a giudizio di Capograssi, la radice della «grande crisi della democrazia»: nel credere «che ogni individuo possa dire la sua parola sopra quella che è la sua realtà», ovvero «che l’immediatezza e il senso possano dire una parola». [17] Il grande compito della democrazia è così di carattere essenzialmente educativo: «poiché si è dato all’individuo la funzione augusta di esprimere il suo giudizio sulla vita» – scrive Capograssi – «tutto il problema della democrazia è proprio questo di rendere capace l’individuo di pensiero e di parola». Dovere sommo della politica è così «di convertirsi in quello che è la sostanza stessa del suo concetto, in educazione». [18
E dunque: la sovranità appartiene certamente al popolo, ma – dice Capograssi – essa «dev’essere meritata»: [19] la sovranità esige cioè l’esercizio di un dovere, il dovere dell’autoformazione, ma anche l’esercizio di un diritto, il diritto alla formazione. In altri termini: una democrazia è autorevole nella misura in cui i suoi membri sono essi stessi autorevoli: donne e uomini liberi, pienamente impegnati nel faticoso cammino che conduce ogni individuo verso la propria umanità.

Pages 1 2 3